Migrazioni
Le donne straniere? Le più schiacciate da lavori in nero e oggetto di ricatto
Analizzare l’efficacia e gli effetti delle politiche migratorie italiane vuol dire prestare attenzione non solo ai dati, ma anche soprattutto alle condizioni di vita dei cittadini stranieri nei paesi in cui radicano la loro vita e diventano parte del tessuto sociale ed economico. Dall’analisi delle positività e delle criticità che fa e ci propone il “Centro Studi e Ricerche IDOS” con il volume “Oltre gli sbarchi”. la formulazione di nuove e più efficaci governance delle migrazioni economiche
Sono ancora numerose le difficoltà che non danno ancora modo agli immigrati presenti nel nostro Paese di smarcarsi da uno status giuridico che li vede presenti e radicati nel nostro tessuto sociale, economico e culturale, senza però che vengano veramente e profondamente considerati. La conseguenza? Il non sentirsi appartenere pienamente al nostro sistema.
Una realtà fotografata in tutta la sua durezza, quella che occupa le 255 pagine del volume “Oltre gli sbarchi. Governance delle migrazioni economiche in Italia e nuove proposte di policy”, realizzato dal Centro Studi e Ricerche IDOS in collaborazione e con il sostegno dell’Istituto di Studi Politici “S. Pio V”.
Liberandoci dagli slogan che pretendono di comprendere un fenomeno complesso come quello delle migrazioni, dobbiamo compiere la fatica dello studio, dell’ascolto e della comprensione
Maurizio Ambrosini, Università Statale di Milano
Uno studio che, alla luce di un rigoroso esame delle policy e della governance delle migrazioni in Italia nell’ultimo quarto di secolo, traccia le linee di fondo per una revisione originale delle politiche migratorie del Paese attraverso proposte che partono dall’analisi della nostra società, proprio quella in cui i migranti vivono e alla cui crescita inevitabilmente contribuiscono.
«Quello che abbiamo affrontato», scrive Maurizio Ambrosini, docente di Sociologia dei processi migratori e sociologia urbana dell’Università statale di Milano, «è il complesso e controverso tema dell’accoglienza e delle condizioni dei migranti economici. Affermo tema controverso perché, politicamente, in linea di principio, i migranti economici, i governi, come la maggioranza degli elettori, non li vorrebbero. Economicamente, però, non è agevole farne a meno. Lo slogan “ne abbiamo bisogno”, adoperato da chi, teoricamente ma non troppo convintamente, sostiene politiche migratorie più aperte all’accoglienza, a dispetto di chi apertamente e ideologicamente le avversa, oltre a suggerire una visione strumentale dell’immigrazione, appare inadeguato a motivare l’accoglienza di nuova forza lavoro in un Paese con un significativo tasso di disoccupazione, aprendo la strada a chi sostiene che gli immigrati ci rubano il lavoro. Dobbiamo fare lo sforzo di superare l’approccio emergenziale delle politiche migratorie, andare al di là della mera superficie visibile e cercare di comprendere le complesse dinamiche che guidano i migranti economici nel loro viaggio verso nuove opportunità».
Attualmente, in Italia, a essere impiegati sono 2,4 milioni di cittadini stranieri, praticamente il 10,3% dell’occupazione totale. Rispetto alle professioni da loro svolte, c’è uno schiacciante incanalamento nei lavori manuali e non qualificati (61,9% vs. 31,5% degli italiani), con una sotto rappresentanza nelle professioni da colletti bianchi (29,9% vs. 31,1%) e nelle funzioni dirigenziali (8,2% vs. 37,3%). Inoltre, è sintomatica la concentrazione degli stranieri nei lavori più precari, faticosi, esposti a danni per la salute e poco remunerati, come i servizi di cura presso le famiglie (16,4%), le costruzioni (10,2%), l’agricoltura (6,5%), ma anche in attività come facchini, camerieri, cuochi, giardinieri, addetti alle pulizie, trasportatori, operai ecc.
Nonostante quanto accaduto con la recessione post-pandemica e le difficoltà energetiche post-aggressione russa all’Ucraina, l’occupazione in Europa è aumentata del 2,2%, raggiungendo nel 2022 il picco storico di 197,1 milioni di persone impiegate, mentre il tasso di disoccupazione è sceso al minimo storico del 6,3%. Progressi significativi che, però, non scongiurano gli squilibri dati dal divario di genere (9,8 punti di differenza nel tasso di occupazione) e dall’elevata disoccupazione giovanile (14,5%), con l’11,7% dei giovani né in istruzione, né occupato, né in formazione (i cosiddetti Neet).
Una situazione che allarma anche rispetto alla presenza e all’occupazione delle donne
«In particolare, il mercato occupazionale italiano», si legge nel volume del Centro Studi e Ricerche IDOS, «penalizza e squalifica in maniera decisamente più netta le donne straniere, schiacciandole su mansioni oltremodo pesanti e mal retribuite, impiegandole più spesso in nero e facendole oggetto di abusi e ricatti. Basta solo osservare che il tasso di occupazione di queste donne è il più basso del Paese (47,5%), ben al di sotto di quello degli occupati complessivi (60,1%), degli stranieri maschi (74,9%) e delle italiane (51,5%); significativamente, esse sono anche sottorappresentate tra tutti gli occupati stranieri (appena il 42%, contro una incidenza tra la popolazione straniera residente del 51%) e la loro retribuzione netta è di un quarto inferiore a quella media dei lavoratori stranieri, già più bassa della media degli italiani. In questo contesto, il comparto domestico, i cui occupati sono per ben il 69,5% stranieri, spicca per essere fortemente caratterizzato da rapporti di lavoro informali e in nero, essendo un ambito paradigmatico del cosiddetto “welfare fai da te”, per molti versi trascurato dalle politiche pubbliche e fondato sul “passaparola”. Aspetti, questi, che incidono fortemente sulle condizioni di vita e di lavoro delle assistenti familiari straniere, sulle garanzie contrattuali, sulla qualità e la tenuta dei rapporti di cura e sui livelli di sicurezza sul lavoro».
Il sanitario e quello dei servizi sociali, poi, sono i settori dove, nel primo trimestre del 2023, si è registrata la maggiore carenza di personale, con 3,7 milioni di posti di lavoro vacanti, superando addirittura i livelli pre-pandemici. Un fabbisogno non soddisfatto, destinato a esplodere nel breve-medio periodo, visto che, secondo le proiezioni Eurostat, la popolazione in età lavorativa (15-64 anni) dell’Ue diminuirà di 28 milioni entro il 2050 (di 58 milioni in assenza di flussi migratori).
Che all’interno dell’Unione europea l’immigrazione sia comunemente percepita e gestita come una “crisi”, la cui natura è più politica che numerica, è purtroppo un dato di fatto. Questo perché l’Europa ha bisogno di migranti per sostenere il mercato del lavoro e contrastare l’invecchiamento della popolazione e, nel caso dell’Italia, la ripresa dell’emigrazione. Ma ciò non serve a programmare politiche che sfruttino positivamente il fenomeno attraverso una visione più ampia e di lungo periodo. Si preferisce, infatti, concentrarsi quasi esclusivamente sulla chiusura delle frontiere esterne.
«Le radici di questa “crisi” che stiamo vivendo», ci dice Idos, «risalgono alla recessione del 2008-2009, che ha portato a restrizioni sull’accesso al mercato del lavoro per i migranti. Le crisi geopolitiche e i conflitti successivi, come le “primavere arabe” e i conflitti in Siria ed Afghanistan, hanno visto un aumento degli arrivi attraverso il Mediterraneo e i Balcani. La pandemia da Covid-19 ha ulteriormente accentuato l’approccio emergenziale, con chiusure dei confini (in Italia perfino navi quarantena) e politiche anti-immigrazione».
Ingressi per lavoro non regolati da vere politiche migratorie
«Solo nel 2022 gli irregolari», secondo la Fondazione Ismu, che si occupa di iniziative e studi sulla multetnicità, «sono scesi a circa 458mila (erano ancora 506mila nel 2021) grazie agli effetti di riassorbimento, piuttosto tenui, della regolarizzazione del 2020, proceduta con sfiancante lentezza e non ancora portata a termine: a maggio 2023, delle 207mila domande presentate da datori di lavoro 3 anni prima, soltanto 65mila (31%) avevano terminato l’iter con il rilascio di un permesso per lavoro, mentre un altro 15% ha conosciuto un definitivo rigetto. Trova quindi conferma l’inefficacia delle regolarizzazioni di massa varate una tantum. Oltre ai datori di lavoro che, anche in questo caso, hanno presentato istanze di regolarizzazione solo dietro pagamento da parte dei regolarizzandi, le emersioni, se non supportate da contratti di medio-lungo periodo e da solide tutele e condizioni di impiego, restano labili: gli immigrati che ne beneficiano ricadono nel sommerso già alla prima scadenza del nuovo permesso di soggiorno, essendo nel frattempo decaduto il rapporto di lavoro regolarizzato».
Non va certo va meglio il sistema di espulsione degli irregolari dal territorio: a fronte della suddetta sacca di circa 460mila irregolari, nel 2022 quelli intercettati e raggiunti da un provvedimento di espulsione sono stati appena 36.770, di cui solo l’11,7% è stato effettivamente rimpatriato (4.304 persone), a fronte del 15,1% nel 2021 e del 13,7% del 2020; mentre dei migranti transitati, lungo il 2022, in uno dei Centri di permanenza per il rimpatrio (Cpr) sparsi sul territorio nazionale (6.383: +45,5% rispetto ai 4.387 del 2021), a essere rimpatriati è stato solo il 49,1%. A tutti gli altri, scaduti i termini di reclusione amministrativa nei Cpr, viene consegnato il cosiddetto “foglio di via” con il quale si intima loro di effettuare, a proprie spese, ciò che, in mesi di arresto forzato, lo Stato non è stato in grado di realizzare: in poche parole, il loro rimpatrio. La conseguenza è che tornano nuovamente nell’invisibilità, disattendendo non certo per loro volontà l’intimazione ricevuta.
Inevitabile, per il Centro Studi, proporre un’agenda virtuale, ma neanche tanto, di proposte di riforma delle politiche migratorie nazionali che possano aiutare concretamente, non solo a trovare le risposte ma anche le modalità con cui operare.
Proposte di revisione anche innovative, di riforme in materia di gestione delle migrazioni in Italia che possano dare una svolta win-win alle politiche migratorie nazionali
Necessaria, per esempio, l’abolizione dello status di irregolarità giuridica dei non comunitari (da cui deriverebbero la decadenza del “reato di clandestinità”, l’abrogazione del provvedimento di espulsione e della detenzione amministrativa e, quindi, l’abolizione dei Centri di permanenza per il rimpatrio); l’istituzione di un permesso annuale di reinserimento socio-occupazionale, che consentirebbe l’ingresso in appositi programmi di reintegrazione, e un piano di completo riassorbimento della sacca di irregolarità mediante il rilascio di questo permesso. Eliminare lo status di irregolarità e il reato di clandestinità non solo conferirebbe dignità e diritti ai migranti, ma contribuirebbe anche a ridurre l’insicurezza sociale e l’evasione fiscale, in quanto gli immigrati regolarizzati possono essere pienamente integrati nella società e nel mercato del lavoro; l’ acquisizione della cittadinanza italiana o per naturalizzazione, dopo 5 anni di soggiorno regolare, o, nel caso dei minorenni, alla nascita o all’arrivo in Italia, eventualmente come seconda nazionalità insieme a quella trasmessa dai genitori stranieri, con il diritto di scegliere se mantenerla o rinunciarvi quando abbiano compiuto la maggiore età (invertendo la ratio attualmente in vigore per i neo-maggiorenni).
L’elenco potrebbe andare ancora avanti, considerato che il tema è un work in progress che cresce in base all’evoluzione dei processi migratori
«Gli spunti sono innovativi rispetto alle pur notevoli direttrici di revisione già da tempo circolanti », afferma in conclusione Luca Di Sciullo, presidente del Centro Studi e Ricerche Idos, « rappresentando il risultato di una riflessione originale condotta sull’analisi scientifica del fenomeno. Il nostro è un documento che intende contribuire attivamente all’attuale dibattito pubblico sul tema, fornendo spunti derivanti dalla rigorosa e sistematica rilevazione, ormai ultratrentennale, degli effetti delle politiche sulla vita concreta dei migranti che arrivano e vivono in Italia».
Le foto di apertura e del servizio sono state fornite dal Centro Studi e Ricerche IDOS
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