Famiglia

Le donne bengalesi salvate da Angela

Un’insegnante di Jessore contro lo sfuttamento femminile

di Emanuela Citterio

«Ho cominciato questa attività con due vedove e quattro bambini, abbiamo dovuto lottare per avere la terra per noi. All?inizio non sapevo difendermi e impormi, ero abituata a parlare solo dolcemente, adesso invece sono molto cambiata: posso parlare con molta forza. Mio padre mi diceva sempre che ero troppo paurosa, perché avevo paura dei temporali. Adesso ho ancora paura dei temporali, ma in tanti momenti, quando devo affrontare qualcuno per proteggere una donna, allora non ho paura e non mi spiego da dove mi viene tanto coraggio. Qualche volta, quando mi chiedono con che diritto appoggio una donna, dico che io sono sua sorella».
Angela Gomes, bengalese, oggi ha 48 anni e da 25 lavora per i diritti delle donne e per la loro emancipazione da ogni sfruttamento, in un Paese come il Bangladesh dove, all?interno di una società già povera, le donne sono le più povere di tutte. Insegnante cristiana in un Paese al 98 per cento musulmano, Angela ha cominciato a darsi da fare per aiutare le donne intrecciando oggetti e tappeti di juta. Oggi dirige una organizzazione non governativa con 4 mila stipendiati e 25 mila donne che lavorano in cooperative diffuse in quasi 500 villaggi. L?anno scorso ha ricevuto un premio molto importante in Asia, il Magsaysay, per «la sua attività a favore delle donne bengalesi delle zone rurali per assicurare loro il diritto a un?esistenza migliore e l?uguaglianza di genere».
A Jessore, nella regione centro meridionale del Bangladesh, Angela ha cominciato a inserirsi nel campo sociale da giovane studentessa, collaborando con un missionario saveriano italiano che lavorava per l?educazione degli adulti. «Ho conosciuto così le condizioni dei poveri e in particolare delle donne», ricorda Angela, «Ho cominciato a visitare i villaggi, a passare di casa in casa e ad ascoltare le storie delle donne, incontrando le lacrime delle donne che venivano picchiate dal marito perché la dote che avevano portato con loro non era sufficiente, di quelle ripudiate o costrette ad accettare in casa un?altra moglie, donne trattate non come esseri umani ma come strumenti, senza nemmeno la dignità riconosciuta agli animali. Questo mi ha convinto ad aiutarle. Volevo scoprire le cause profonde della loro situazione e cambiare il sistema».
Il sistema Angela Gomes l?ha sfidato davvero. Da subito. Venticinque anni fa è stata la prima donna, nella zona di Jessore, che, per visitare i villaggi, ha cominciato a usare la bicicletta. Gli uomini le tiravano i sassi, la buttavano giù, ma lei ogni volta ripartiva, caparbia. Poiché di donne in bicicletta in Bangladesh non se ne vedono nemmeno adesso, si intuisce quale novità fossero le sue pedalate. «In me cresceva sempre di più la consapevolezza che l?istruzione e l?autosostentamento erano per le donne i due mezzi per sfuggire allo sfruttamento», ricorda Angela, «Mi chiedevo come creare lavoro , perché avessero una certa autonomia. Ero un?insegnante, non sapevo fare lavori manuali, né mi sembrava di avere particolari abilità. Grazie ai missionari, che già stavano aiutando le donne insegnando a produrre oggetti di artigianato, ho potuto girare alcuni villaggi per osservare come venivano organizzate le piccole attività di produzione e vendita di questi oggetti. Ho imparato come lavorare la juta e per un po? di tempo sono andata a vivere in una città ai confini con l?India, dove ho imparato ad allevare bachi da seta».
Tornata a Jessore Angela riprende la sua sfida. Decide di impegnarsi nelle aree rurali e comincia a creare piccoli gruppi di lavoro con le donne musulmane che solitamente vivono chiuse in casa senza poter svolgere nessuna attività autonoma. Per farsi accettare si fa chiamare Anju, un nome comune anche tra i musulmani e gli indu. Proprio grazie a un musulmano influente che comincia ad apprezzare il suo lavoro, le viene assegnato un piccolo pezzo di terra, dove con poche donne scava un laghetto per allevare i pesci e una capanna dove le donne possono ritrovarsi a lavorare insieme. Gli inizi sono lenti e faticosi. «I mariti picchiavano le mogli perché non venissero a lavorare»,- ricorda Angela ,« ma loro venivano lo stesso. Varie volte hanno bruciato i magazzini nei villaggi ma né io né le donne ci siamo lasciate scoraggiare». I gruppi di lavoro, in cui le donne producono oggetti da vendere per autosostenersi, si diffondono a macchia d?olio nei villaggi. L?attività comincia ad essere conosciuta e Angela ottiene dall?ambasciata norvegese i finanziamenti necessari per costruire a Jessore un centro di coordinamento. Nasce così l?organizzazione Banchte Shekha (?imparare a vivere?), che comincia anche a dare assistenza legale alle donne trattate violentemente o ingiustamente dai mariti. Oggi, Angela Gomes, malata di cancro, ha un sogno: realizzare un?università rurale aperta a tutti. «Il premio Magsaysay vinto lo scorso anno comprendeva una cifra di 50 mila dollari. Con questo denaro vorrei cominciare a dare vita alla Open Rural University, dove le donne dei villaggi potranno venire periodicamente per seguire dei corsi in cui, oltre a una formazione di base, potranno acquisire abilità pratiche per intraprendere attività in proprio».

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