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Le differenze di diffusione del virus in Italia

La ricerca “Comprensione dell'eterogeneità degli esiti avversi del COVID-19: il ruolo della scarsa qualità dell'aria e le decisioni del lockdown”, «ha evidenziato tre fattori correlati: il lockdown, il livello “storico” dell’inquinamento locale, e le caratteristiche della struttura produttiva locale», spiega l'economista Leonardo Becchetti

di Leonardo Becchetti

Nella ricerca sulle determinanti di contagio e decessi per COVID-19 in Italia dal titolo “Understanding the Heterogeneity of Adverse COVID-19 Outcomes: the Role of Poor Quality of Air and Lockdown Decisions” che ho curato insieme a Gianluigi Conzo dell'Università di Roma Tor Vergata, Pierluigi Conzo, dell'Università di Torino e Francesco Salustri della University of Oxford utilizziamo decine di migliaia di osservazioni (dati giornalieri comunali e provinciali) e troviamo che i fattori significativamente correlati con la diffusione sono tre: il lockdown, il livello “storico” dell’inquinamento locale (polveri sottili soprattutto ma anche biossido di azoto) e le caratteristiche della struttura produttiva locale (in particolare la quota di attività non facilmente digitalizzabili).


Abbiamo controllato per l’effetto concomitante di densità di popolazione, temperatura, reddito disponibile per abitante, struttura per età della popolazione, un indicatore sintetico di qualità della sanità regionale, la quota di utenti del servizio pubblico urbano, i flussi di pendolarismo interni e da altre provincie. Abbiamo guardato ai nostri dati da tanti possibili punti di vista usando diverse metodologie di stima (cross-section, pooled, panel a effetti fissi con time trends, esperimento “sintetico” con trend controfattuale) correggendo per l’autocorrelazione spaziale.

I nostri risultati sono a disposizione per il dibattito e per futuri avanzamenti della conoscenza in materia.

Sul risultato relativo all’inquinamento sottolineiamo come per via statistica la prova al 100% della causalità per fenomeni già in corso non è possibile visto che non possiamo riavvolgere il nastro della storia, inoculare il virus in un comune e non in un altro con caratteristiche assolutamente simili eccetto il livello di polveri e vedere cosa succede. I sospetti di un nesso di causalità però sono molto forti. Centinaia di studi medico- scientifici nel passato hanno sottolineato come le polveri riducono l’efficienza dei polmoni aumentando i rischi e peggiorando gli esiti delle malattie polmonari, cardiovascolari e dei tumori. Il COVID-19 è una malattia respiratoria e polmonare e il nostro studio trova un’associazione statistica molto significativa tra inquinamento, contagi e gravità degli esiti del COVID-19.

Cosa cambia dopo il nostro risultato in termini di suggerimenti per le politiche pubbliche? Sapevamo dell’importanza fondamentale del lockdown e abbiamo trovato conferma nei dati. In materia ambientale non cambia molto. Anche prima della pandemia l’Organizzazione Mondiale della Sanità attribuiva in Italia (prima del COVID-19) alle polveri sottili circa 219 morti al giorno. E nelle grandi città eravamo costretti molti giorni a bloccare la circolazione per il superamento dei livelli di soglia. Se vogliamo ridurre la nostra esposizione a questo fattore di fragilità e costruire società ed economie più resilienti dobbiamo ridurre le polveri migliorando l’efficienza del riscaldamento domestico, la qualità della mobilità urbana, le modalità di produzione agricole e industriali.

È un’opportunità, non una minaccia al nostro sviluppo perché in ciascuno di questi ambiti esistono scelte win-win che possono ridurre i rischi ambientali e di salute aumentando valore economico e lavoro. In materia di struttura produttiva, i nostri dati sottolineano qualcosa che gli imprenditori hanno imparato dolorosamente a loro spese durante questa pandemia. Il dopo non sarà più come prima e qualunque imprenditore razionale elaborerà una strategia di copertura dal rischio pandemie cercando di minimizzare l’effetto di eventuali (speriamo mai) futuri shock sulla propria attività produttiva attraverso procedure di sicurezza e maggiore dematerializzazione ove possibile.


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*Leonardo Becchetti Università di Roma Tor Vergata

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