Faccio fatica a ragionare con i cristianisti – (nel senso di Remi Brague, di coloro che sono interessati all’ideologia del cristianesimo piuttosto che a Cristo) sulla costruzione di una moschea a Milano. «Ma come! gli islamici», è la prima obiezione, «ci impediscono di pregare e costruire chiese nei loro Paesi. E poi, diamine», seconda obiezione, «le moschee sono centri di coltura del fondamentalismo islamico, c’è un problema di sicurezza!». Obiezioni che rivelano ignoranza e miopia.
L’unico Paese arabo dove non esistono luoghi di culto cristiani è l’Arabia Saudita. Non è giusto, anche perché lì lavorano ormai centinaia di migliaia di immigrati asiatici di fede cattolica ed essi hanno il sacrosanto diritto di avere una chiesa dove pregare. È notizia recentessima la disponibilità della monarchia saudita a permettere la costruzione di chiese, eccezion fatta per le città sante di La Mecca e Medina. Apertura seguita alla storica visita di re Abdullah al Papa. In tutti gli altri Paesi musulmani questo diritto è riconosciuto. Non sono dei paradisi della libertà religiosa, ovvio, ma la partecipazione al culto non è messa in discussione. Ho viaggiato in molti Paesi arabi e ho sempre assistito alla messa nelle parrocchie, con gli straordinari fedeli del posto, persino in regimi con pessima reputazione come Siria, Yemen, Sudan, Libia?
È bene che gli Stati e i politici cristiani si battano per il principio di reciprocità con l’islam. Dovrebbero farlo di più. Ma non mi pare che Gesù ci insegni a trattare i nostri nemici come loro trattano noi? O mi sono perso qualche revisione del Vangelo con sbianchettatura di alcuni versetti? E che dire del trattamento riservato al buon cardinale Tettamanzi, reo di aver difeso il principio della libertà religiosa anche per i musulmani?
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