Mondo
Le corse di Frank per salvare una vita
L'esperienza di un infermiere di ambulanza, simbolo delle migliaia di "medici della strada" che ogni giorno si prendono cura dei dimenticati di New York.
di Redazione
Un nuovo film di Martin Scorsese è sempre un evento. Fra i più grandi registi, ha realizzato alcuni le migliori opere degli ultimi venticinque anni: per citarne alcuni ricordiamo “Taxi driver”, “Toro scatenato”, “Casinò”. Il suo ultimo lavoro, appena uscito in America, è “Bringing out the dead”, interpretato da Nicolas Cage. Scorsese, segue la vita di Frank Pierce, infermiere di un pronto soccorso dell’Ems (Emergency medical service) di New York, per due giorni e soprattutto tre notti. Impegnato nel servizio esterno con le ambulanze, Frank si trova ad affrontare situazioni drammatiche e una pressione psicologica da esaurimento nervoso. Nota dominante del film è il cinismo di uomini sfiancati da orari massacranti e da un lavoro svolto al “limite” e in perenne autodifesa di fronte alle immagini di morte e di cruda sofferenza. Frank, ossessionato dagli incubi per le vite che non è riuscito a salvare,è sul punto di “saltare”. Ma nell’arco delle 56 ore in cui si svolge la vicenda lo vedremo riemergere da una crisi apparentemente irrisolvibile grazie all’incontro con la figlia di un paziente che lui cerca di salvare.
Raccontata così la storia potrebbe assomigliare a una puntata di “E.R.”, invece, in “Bringing out the dead”, che arriverà in Italia in gennaio con il titolo “Al di là della vita”, Scorsese compie un’osservazione senza sconti delle sofferenze e dei turbamenti psichici del protagonista, al punto che il film ha avuto seri problemi con la censura americana ed è probabile che anche in Italia sia vietato ai minori di 14 anni. Non a caso Frank è stato paragonato da qualcuno al Travis Bickle di “Taxi driver”, il tassista newyorchese che di fronte alle nevrosi della sua condizione di reduce del Vietnam e alle contraddizioni della vita reagiva con violenza distruttiva. Frank Pierce riemerge dai suoi incubi, ma la sostanza del film è drammatica. Anche perché l’ispirazione e la sceneggiatura sono tratte dal romanzo di Joe Connelly “Pronto Soccorso” (ed. Marco Tropea Editore), che per il suo libro ha attinto a dieci anni di esperienze come autista di ambulanza per il Metropolitan Hospital di Harlem. Per la sua conoscenza del lavoro di infermiere di pronto intervento, Connelly è diventato il consulente del regista e ha seguito tutte le riprese. «Può essere il miglior lavoro del mondo – racconta Connelly – ma anche il peggiore. Non c’è nulla di più gratificante che salvare una vita: è una soddisfazione che non ha paragoni. Ma non dura».
Per Scorsese è sicuramente una novità dopo tante storie di criminali, psicopatici, mafiosi e violenti: ma in fondo, anche in questo caso al regista interessa indagare il fondo dell’animo umano di fronte a circostanze eccezionali: «Queste persone fanno un lavoro straordinario», spiega Scorsese. «Sono i medici della strada. Si prendono cura di gente che nessuno toccherebbe. L’ospedale è solo una base, la storia vera si svolge per strada e nella mente di Frank. Quando soccorre qualcuno, questo muore e lui incassa il colpo e come un automa parte per la chiamata successiva. Ecco la cosa interessante: come si reagisce di fronte alla morte in un ospedale o per strada?». A generare qualche problema nello spettatore italiano potrebbe essere la comicità disturbante nelle situazioni drammatiche che la storia racconta. Infine, il parere di Nicolas Cage: per abituarsi al ruolo ha visto molti paramedici in azione, è andato in ambulanza con loro cercando di capire come affrontano questo tipo di lavoro. «Dicono che quando sei li sul momento riesci a gestire la situazione, è più tardi, quando smonti e torni a casa dalla tua famiglia che ti rendi conto che le stesse cose che vedi per le strade potrebbero succedere ai tuoi bambini o a uno dei tuoi compagni di lavoro, e ti prende il panico». Da sottolineare che il film, nelle sale Usa da poche settimane fa, non è stato accolto con grande favore dagli spettatori. Ma considerato il “taglio” scelto da Scorsese – realistico e poco edificante – non è una gran sorpresa. •
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