Le correzioni di Internazionale: prende videopoker per slot machine

di Marco Dotti


A rigor di legge, in Italia i videopoker non esistono.  A vietarli è l’art. 110, comma 7, lett. b del Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza (il cosiddetto T.U.L.P.S). Un articolo chiave, come altre volte ho scritto nel blog (→ qui), perché, con la scusa della razionalizzazione, ha introdotto in Italia la nozione di “gioco lecito” e, contestualmente al divieto di installare, apparecchi elettronici «riproducenti, in tutto od in parte le regole fondamentali del poker», autorizzava le famigerata slot machines.

La differenza, anche prescindendo dalle specifiche tecniche, è evidente: se nel videopoker è comunque riprodotto e semplificato (secondo molti: persino banalizzato) un gioco di abilità come il poker, che prevede comunque una soglia di accesso, nelle slot machine la regola è talmente semplice (allineare quattro o più figure: mele, ciliegie, fragole, melanzane) da consentire il “gioco” anche a soggetti privi di qualsiasi capacità di cognizione e di scelta. Le slot machine sono simili alla famosa gabbia di Skinner, usata un tempo per studiare  l’apprendimento condizionato dei ratti, e se possibile ancor più pericolose dei videopoker presenti in molti casinò extraeuropei. A Las Vegas, per esempio.

Tutto chiaro? Non proprio, perché nel tradurre il bel pezzo che Elisabetta Povoledo ha dedicato al movimento #noslot e all’azzardo di massa in Italia , pezzo pubblicato sul New York Times del 28 dicembre 2013 (→qui), il settimanale Internazionale cambia i fattori in questione e, cambiando i fattori, nel campo del linguaggio,  il prodotto cambia. Eccome se cambia.

Partiamo dal titolo

  • New York Times titola: “Fear of Social Breakdown as Gambling Explodes in Italy”.
  • Internazionale: “Il demone dei videopoker”.

Più che di un demone, diremmo si tratti di un fantasma. Perché i giornalisti italiani si ostinano a parlare di videopoker quando sono slot machines e videolotteries a infestare i nostri territori?

Non bastasse:

  • ogni qual volta nell’articolo l’autrice parla di slot machine, distinguendole con rigore anche dalle videolotteries (Vlt), Internazionale volge il termine in “videopoker“.

Questione di lana caprina? Non proprio, perché il senso dell’articolo ne viene stravolto e, nel passaggio da un termine all’altro, è ben più che un errore quello che si produce. È un disastro di prospettiva, con inevitabili derive pratiche. 

Internazionale ha una bella rubrica, “Le correzioni”, dedicata agli errori e alle sviste di traduzione. Mi piacerebbe che, una volta tanto, la segnalazione di un lettore – quale sono – non fosse catalogata come svista o errore del traduttore. Dietro questo slittamento semantico c’è di più e non c’è una persona sola a cui possa o debba essere consegnata la responsabilità di una parola.

Quante volte mi sono sentito ripetere dai giornalisti “videopoker, li chiamano tutti così, inutile distinguere!”. A forza di chiamare una cosa (slot machine) col nome di un’altra (videopoker), dal 2003 a oggi, il disastro si è compiuto con la complicità di tutti. Anche di chi, a forza di maneggiar parole, ha ceduto alla sciatteria o alla seduzione, deponendo anzitempo le armi della critica.

Le parole hanno un peso, ma alcune parole hanno più peso delle altre. Sono le parole che individuano un problema pratico, una questione da affrontare, proprio perché affrontarla è il primo passo per  tentare di risolverla. Il nostro dovere, pratico e etico, è non tirarci indietro. “Nel punto più piccolo”, diceva un buon Friedrich Schiller, “devi compiere lo sforzo più grande”. Il resto verrà da sé.

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