Economia

Le consegne etiche della coop di rider

Una piattaforma del comune di Bologna che permette di mettere in atto le indicazioni contenute nella “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”, siglata da Sgnam e MyMenu per garantire ai lavoratori un compenso dignitoso, protezione sociale e partecipazione alla governance in forma cooperativa, ma spostare l’onere economico dal commerciante al consumatore, garantendo così la sostenibilità

di Ivana Pais

I rider sono il simbolo del nuovo lavoro digitale: sono la parte emersa di un iceberg di lavoratori di piattaforma che non vediamo perché non girano in bicicletta per le nostre città ma fanno le pulizie dentro abitazioni private o lavorano dietro uno schermo dalla loro abitazione. In questi giorni si sta giocando una nuova partita per la regolazione del lavoro di chi effettua consegne a domicilio: mentre Cgil, Cisl e Uil partecipavano al tavolo aperto dal ministero del Lavoro, Assodelivery ha siglato un accordo con Ugl, di cui ora si discute la legittimità.

Una situazione che — a prescindere dagli esiti — mette in luce la fragilità del nostro sistema di relazioni industriali nel rappresentare le nuove forme di lavoro. Se spostiamo lo sguardo dal livello nazionale a quello urbano lo scenario cambia. Il comune di Bologna ha prima promosso la “Carta dei diritti fondamentali del lavoro digitale nel contesto urbano”, siglata da Sgnam e MyMenu, e ora sta sostenendo l’avvio di una piattaforma che permetta di mettere in atto le indicazioni contenute nella Carta.

La piattaforma si chiama Consegne Etiche, attualmente è in fase di test attraverso due cooperative e sarà operativa a breve. Hanno già aderito tre mercati locali, dove l’aggregazione degli esercizi commerciali favorisce l’organizzazione delle attività, due supermercati e il comune di Bologna ha utilizzato un finanziamento per sperimentare — al momento a titolo gratuito — la consegna dei libri della rete bibliotecaria.

La sfida non è solo garantire ai lavoratori un compenso dignitoso (9 euro netti l’ora), protezione sociale e partecipazione alla governance in forma cooperativa, ma spostare l’onere economico dal commerciante al consumatore, garantendo la sostenibilità economica, oltre a quella ambientale e sociale. È la sfida che finora ha frenato la diffusione di altre esperienze di cooperativismo di piattaforma. I responsabili del progetto sono consapevoli delle difficoltà ma sanno di avere qualche carta da giocare.

Michele D’Alena, della Fondazione Innovazione Urbana del comune di Bologna, commenta: «Bologna ha un Dna cooperativo che si è messo in moto su questo progetto. Questa città può permettersi un’alternativa etica alle piattaforme ma serve immaginare nuove soluzioni per andare oltre l’essere di nicchia: serve proporre un nuovo modello capace di creare un’alternativa concreta per tutte e tutti i cittadini con il Comune che abilita e indirizza».

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