Non profit

Le colonne della democrazia partecipativa

20 anni fa la legge che le ha istituite

di Maurizio Regosa

Con Alberto Quadrio Curzio facciamo un bilancio di questi vent’anni. «Altro che autoreferenziali. Le fondazioni hanno saputo essere referenziali al loro target. Oggi sono capaci anche di sollecitare
gli attori sociali. E di favorire infrastrutturazione sociale»
Il paradosso è sotto gli occhi di tutti. Mentre i fautori del libero-mercatismo si ritrovano a balbettare confusi e timidetti, sperando in sostanziosi interventi statali che facciano uscire dalle secche della crisi, le fondazioni di origine bancaria si stanno rivelando con sempre maggior chiarezza per quel che sono: realtà che partecipano alla costruzione e alla cura del bene comune.

Esperienze di sussidiarietà
Ovvero, per dirla con Alberto Quadrio Curzio, economista, preside di Scienze politiche della Cattolica di Milano e accademico dei Lincei, «soggetti che, realizzando concretamente la sussidiarietà orizzontale, applicano i principi del liberalismo sociale». Che non non è compassionevole e che i più avveduti non hanno mai scambiato con il mercato-giungla («altro che taumaturgico»). «Non solo: come soggetti del privato sociale», aggiunge il professore, «sono fondamentali per la democrazia partecipativa che è una delle colonne portanti, accanto alla democrazia rappresentativa e al mercato che lavora su criteri di efficienza ed efficacia». Riequilibrata così la prospettiva, val la pena di tentare un bilancio dell’operato di queste fondazioni a vent’anni dalla legge Amato (che le istituì) e di delineare, per quanto è possibile, i trend e le tendenze più attuali.
I profili positivi
«Sono principalmente tre i profili positivi che sottolineerei», prosegue il preside, «anzitutto le fondazioni hanno saputo dialogare efficacemente e in modo autonomo con soggetti dipendenti dalle istituzioni. In secondo luogo hanno mostrato una crescente capacità di selezionare progetti meritevoli mobilitando anche risorse altrui e quindi creando un effetto moltiplicatore. Infine hanno contribuito a dare stabilità all’azionariato delle banche». La conferma viene dal XIV Rapporto sulle fondazioni bancarie, realizzato dall’Acri. Anche nell’anno dello scoppio della crisi, il 2008, le 88 fondazioni hanno erogato 1,679 miliardi finanziando oltre 29mila interventi distribuiti in diversi settori: da quello artistico-culturale alla ricerca scientifica, dall’educazione al volontariato, all’assistenza sociale. Contributi che, nonostante l’azzeramento dei dividendi da parte di molti istituti bancari, sono stati in sostanza confermati nel 2009 (una ricerca Prometeia rivela che non hanno intaccato il valore dei loro asset, oggi a quota 60 miliardi). I numeri però non dicono tutto.
Erogatori di beni sociali
Non rivelano ad esempio quanto sia andata articolandosi la consapevolezza delle fondazioni di erogare beni sociali oltre a (e prima di) risorse finanziarie. «Non si spiegherebbe altrimenti l’alta fiducia di cui godono; altro che autoreferenziali, come si diceva un tempo volendo criticarle, le fondazioni hanno saputo al contrario essere referenziali al loro target», commenta Quadrio Curzio. Mettendo a punto strategie e modalità d’intervento innovative.
Le partnership ad esempio. Che non sono il frutto della crisi («molte esperienze sono partite prima», puntualizza) ma che forse hanno registrato per causa sua una accelerazione e una intensificazione. Percorsi grazie ai quali si è perseguito un effetto moltiplicatore dell’efficacia, magari grazie ad alleanze con quei soggetti che la teoria voleva lontani, ovvero il mercato e il pubblico (ed esperienze simili sono in corso anche in altri Paesi europei, fra cui la Germania).

Nuovi trend
Accanto alle partnership, nel mondo delle fondazioni (di origine bancaria e non) altre tendenze hanno fatto capolino. La scelta di essere al tempo stesso operative ed erogative («l’importante è che i servizi siano di prossimità e al di fuori del mercato e che, in questo caso, si presti maggiore attenzione al monitoraggio dei risultati», sottolinea il professore). Oppure un diverso modo di essere intermediari della filantropia, impegnandosi in prima persona nella gestione, o di avvalersi della tecnologia per sollecitare i diversi attori sociali a mettersi ulteriormente in rete. O ancora la decisione di assumersi un compito di collegamento fra domanda e offerta, garantendo anche un non semplice ma necessario accompagnamento (è quanto fa la Fondazione Talenti) o di favorire l’infrastrutturazione sociale nelle zone che più ne hanno bisogno (è uno degli obiettivi della Fondazione per il Sud, frutto di un inedito patto tra il volontariato e le fondazioni di origine bancaria).
«Questo è un momento determinante», conclude Quadrio Curzio, «se in passato le fondazioni erano viste come spazi dello spontaneismo – per me comunque un fattore necessario, perché vuol dire convinzione – oggi sempre più sono caratterizzate dall’aver maturato competenze articolate e adeguate».

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