Non profit

Le città impossibili

La vita reale di quattro persone con disabilità nel documentario della Uildm

di Riccardo Bianchi

«Mi chiamo Luca, ho 36 anni, abito a Milano e sono affetto da distrofia muscolare. Ogni mattina quando mi sveglio penso alla mia situazione, della malattia. Perché è toccato a me e poi come affrontare la giornata». Inizia così, con le immagini e le parole di Luca, Articolo 3, il docu-drama dell’Unione Italiana Lotta alla Distrofia Muscolare. Un video (guardalo su Vita Channel) di 30 minuti con quattro storie di vita quotidiana di altrettanti malati che ogni giorno si trovano costretti ad affrontare non solo la malattia, ma anche l’indifferenza e l’incomprensione delle istituzioni e delle persone.

A Luca, per esempio, sono stata concesse solo 6 ore settimanali (non quotidiane) di assistenza, e per fortuna ci sono le cooperative ad aiutarlo. Emma, 6 anni, di Padova, non può avere un accompagnatore che la segua a scuola. Federico, 14 anni, di Roma, si è trovato davanti un preside che non lo ha voluto nel suo istituto e che, andando contro la legge, al momento dell’iscrizione non ha presentato la domanda di assistenza al comune e alla provincia. Morale: Federico non si è potuto iscrivere e ha passato un anno a casa. Infine Umberto, 50 anni, di Napoli, i cui condomini due anni fa hanno fermato con una causa legale la costruzione dell’ascensore nel palazzo in cui vive. I ritardi per far ripartire i lavori lo costringono ancora oggi a salire fino al quinto piano con le scale, nonostante lui cammini con enormi difficoltà.
Il video è un vero pugno nello stomaco.

Nessun commento superfluo, eppure ogni parola degli intervistati sembra una bastonata. «L’idea è nata per la giornata nazionale della Uildm» racconta il presidente, Alberto Fontana «per denunciare che l’articolo 3 della Costituzione, quello che dice che “Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge”, non è affatto rispettato. Non a tutti è dato il sostegno necessario per avere le stesse possibilità». Fontana è stato l’ideatore dell’iniziativa. È stato lui a pensare al documentario: «Un video ha molta forza, le immagini rimangono impresse. Per la giornata nazionale ho pensato che servisse qualcosa di nuovo per raccontare che non tutto è risolto, che ci sono persone che soffrono in silenzio, al limite della decenza. E quelle che hanno accettato di apparire in Articolo 3 sono coraggiose, perché rischiano anche di essere riconosciute e trattate con pietà, e non con rispetto». La parte tecnica del progetto è stata affidata a Casimiro Lieto e Matteo Capanna, due professionisti che hanno curato anche le campagne di Telethon: «Non abbiamo accettato mediazioni» ammette Lieto «Anche grazie a Fontana, non abbiamo avuto paura di raccontare il dolore. La tv spesso ha dei falsi pudori e lo evita, lo nasconde. Ma queste persone lo vivono e non hanno avuto problemi a mostrarlo». E su questo trova d’accordo anche Capanna: «Prima di iniziare avevo un po’ di timore. Ma la forza dei protagonisti ci ha guidato. Quando sono arrivato, Emma guardava Peter Pan, dove la fatina Trilly fa volare i bambini. Un’immagine che mi ha colpito; lei non può neppure camminare. Ma ciò che mi ha più stupito è la voglia di futuro di queste persone, la forza di lottare». E forse il documentario non è stata una cattiva idea, visto che la sua uscita sulle tv nazionali ha smosso le istituzioni. Tra le prime c’è il Comune di Milano, che ha concesso l’assistenza quotidiana a Luca. Voci di corridoio dicono che il merito è anche di Fontana, che sarebbe andato di persona negli uffici con il video in mano. Ma va bene così, l’importante è il risultato


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