Cultura

Le cinque emergenze pedagogiche per cui bisogna riaprire la scuola

La scuola non è custodia dei bambini in ottica di conciliazione. Per questo gli aspetti sanitari della loro riapertura, seppure necessari, non bastano. L'attenzione pedagogica deve permeare tutto il dibattito, fin dalla fase iniziale di progettazione della riapertura. L'accomodamento ragionevole, già usato nel campo della disabilità, è un approccio utile per contemperare i due aspetti. Un documento di proposta

di Raffaele Iosa

Questo studio intende offrire proposte e suggestioni circa l’auspicato rientro a scuola di tutti i bambini e i ragazzi italiani, che da fine febbraio 2020 hanno perso l’esperienza comunitaria della vita scolastica a causa della pandemia da Covid-19. Bambini e ragazzi che assieme alla chiusura della scuola hanno vissuto contemporaneamente per mesi la dura esperienza della loro chiusura in casa. Questo doppio confinamento esistenziale, sociale, cognitivo, relazionale è lo sfondo cui il rientro deve essere pensato in chiave formativa e di ripristino delle giuste condizioni di crescita dei nostri figli nella comunità sociale. Vi è dunque, fin dall’inizio della progettazione di questo ritorno, la necessità di un incontro non facile ma da sviluppare in contemporanea tra due approcci, entrambi necessari: il pedagogico e il sanitario.

Le scienze della formazione, con le loro articolazioni interdisciplinari di carattere pedagogico, psicologico evolutivo, sociologico, antropologico, epistemologico, sono una cosa seria. Sono la pre-condizione del senso della scuola nel suo sviluppo concreto di apprendimenti, di pratiche didattiche, di socializzazione, di educazione alla vita all’autonomia della persona. La scuola è un sistema pubblico che ha al centro del suo agire la pedagogia, in tutti i suoi aspetti. Non è dunque possibile che le regole sanitarie non si incontrino dialogicamente con le esigenze educative, è necessario invece un incontro parallelo di mutualità che abbia chiaro gli obiettivi del rientro a scuola come premessa necessaria di qualsiasi regolazione. Ad esempio, se la riapertura fosse centrata solo sul bisogno di guardianìa per i genitori tornati al lavoro basterebbero forme di babysitteraggio educativo, senza ulteriori preoccupazioni. Ma lo sguardo pedagogico ci segnala ben altro di necessità per i nostri figli e nipoti.

È questo ben altro pedagogico che il rientro a scuola considera prioritario, in particolare su questi punti:

  • Garantire eguaglianza delle opportunità. Il confinamento è stato ammorbidito (ma non risolto del tutto) dallo straordinario impegno di migliaia di insegnanti che si sono mossi in tutti i modi per ristabilire la relazione educativa. Perché questo ha voluto dire la Didattica a distanza: non tanto “tradurre la scuola ordinaria con altri metodi a distanza”, ma creare attraverso le macchine virtuali la vicinanza umana e deontologica ai nostri ragazzi. Lo si è fatto in mille modi, ha funzionato meglio quando si è cercato di fare cose diverse dal scimmiottare la lezione tradizionale, ed ha aperto radicali riflessioni negli insegnanti su aspetti fondativi dell’educazione (il valutare, la didattica in sé, il valore dell’ascolto dell’altro, il senso di comunità, ecc..). Insomma una didattica della vicinanza con la nostalgia dell’altro. Non è un caso che le migliori esperienze sono rappresentate dalle soluzioni in cui adulti e bambini si “vedevano e parlavano” attraverso il video. Un’esperienza di massa, nata dal basso, di grande valore civico in cui gli insegnanti hanno espresso un moto professionale che Spinoza avrebbe chiamato di “passioni generose”. Un ricco patrimonio di apprendimento professionale nato dalla necessità, che sarà utile in futuro quanto meno a ri-scoprire la relazione educativa come fondamentale. E anche una mediazione tra analogico e virtuale nell’insegnare e apprendere che non potrà mai essere la Dad sostitutiva della scuola fisica e umana, ma l’e-learnig e le ICT come strumenti di arricchimento degli apprendimenti, non e mai di sostituzione della vita comunitaria in un luogo chiamato scuola (e dintorni). Detto ogni bene possibile dell’impegno determinato degli insegnanti, è onesto ammettere che l’esperienza ha invece rilevato gravi limiti sui principi fondativi della scuola democratica. L’esperienza ha accentuato il gap tra i ragazzi mainstream e quella fascia di nostri alunni che per varie condizioni (economiche, familiari, di lontananza culturale, per povertà di stimoli, per condizioni di disabilità, disagio sociale e così via) hanno pagato lo scarto in diversi modi e intensità, fino all’abbandono, pur con tutto l’impegno profuso dai docenti. C’è dunque ragione per riaprire quanto prima e meglio possibile le nostre scuole per un’emergenza democratica, pena il dimenticarci dell’art. 3 Costituzione (comma 2…Compito della Repubblica è rimuovere gli ostacoli…che impediscono la realizzazione della persona umana, ecc..). La scuola garante delle opportunità per tutti , capace di non perdere nessuno è una priorità nazionale. Tornare a scuola si deve, quanto prima per loro. Forse anche una scuola diversa da quella di prima della chiusura, scuola in cui non sempre l’eguaglianza delle opportunità veniva effettivamente garantita.
  • Ripristinare la cittadinanza sociale. I bambini e i ragazzi non sono solo studenti o scolari. Sono cittadini a loro modo attivi nella comunità sociale. Dunque è opportuno che non solo la scuola, ma tutto il territorio (famiglie, ente locale, società civile, soggetti sociali, sportivi, culturali del territorio) apra una progettazione del ritorno alla vita. Non può che essere fatto insieme e contemporaneamente alla scuola, pena il rischio che la scuola diventi un’isola in un deserto di incertezze bassa vita comunitaria. Ci vuole dunque uno spirito attivo di governance locale tra i diversi soggetti, piani integrati territoriali di ricostruzione della vita sociale dei nostri bambini e giovani. Possono esserci molte soluzioni che rispettino le regole sanitarie, ma liberino i ragazzi dalla chiusura. Questa è una vera emergenza di cittadinanza sociale di altrettanta priorità. Scuole, ente locale, società civile insieme.
  • Tornare ad apprendere insieme. Il rientro a scuola non può essere solo un ripasso e un rabbocco dei curricoli non del tutto realizzati quest’anno. Certo si dovrà pensare anche a questo, con modalità flessibili secondo i ragazzi e le scuole, ma è un errore ripartire “da dove eravamo rimasti…”. È successo qualcosa di significativo in questi mesi, si è imparato anche a vivere. Si riportano in classe i vissuti, non solo le tabelline imparate a memoria. C’è dunque da prevedere una fase transitoria (almeno fino a novembre?) di “accomodamento ragionevole” della condizione di ogni alunno ma soprattutto di ritorno all’apprendimento comunitario, cioè “in presenza attiva”, anche con l’utilizzo di tecnologie, questa volta non sostitutive ma complementari. Ciò che conta davvero è la natura dell’apprendere insieme, che prima della chiusura delle scuole non era sempre dignitoso e attivo, ma a volte direttivo e separativo. Questa volta l’insieme che apprende ha anche cose da dire, da raccontare. Sa di più e di diverso. C’è quindi una necessità data dall’emergenza di vita comunitaria di apprendimento tra pari che va compresa e risolta anche con modalità didattiche nuove.
  • Dietro ogni alunno, una famiglia. Anche i genitori hanno vissuto con difficoltà questa difficile fase, sia per la crisi del lavoro, sia per il confinamento, sia per un rapporto con i figli per i quali spesso sono stati tramite attivi con la scuola. Una ri-scoperta di dialogo ma anche un impegno, inutile negarlo, faticoso. E che ha diversi esiti secondo le condizioni delle diverse famiglie. Oggi che i genitori tornano al lavoro, li si carica di un problema complesso e duro circa chi seguirà i figli a casa. Le soluzioni di aiuto modello baby sitter sembrano non risolvere il problema non solo per i costi (e le differenze tra famiglie) ma anzi accentuano l’isolamento dei figli e rappresentano una soluzione posticcia. Dunque anche alle famiglie serve il ritorno a scuola, non come guardianìa, ma come ripristino della massima normalità della vita possibile. I genitori tornano a lavorare, e i loro figli tornano ad essere anche bambini e ragazzi, non solo figli.

Dunque, in sintesi, ci sono cinque emergenze pedagogiche (e politiche) che impongono la predisposizione del piano di rientro a scuola a settembre 2020, con la presenza attiva di uno sguardo e una priorità pedagogici che accompagnino un positivo rientro dei nostri bambini e ragazzi alla vita da bambini e ragazzi:

-emergenza educativa di ritorno alla vita da bambino e ragazzo;

-emergenza democratica delle opportunità educative;

-emergenza di cittadinanza sociale;

-emergenza di vita comunitaria di apprendimento tra pari;

-emergenza delle condizioni familiari.

Insomma, un vasto programma, di alta valenza politica istituzionale. Per sanare quella “ferita nel paese” espressa dal presidente Mattarella a fronte della chiusura delle scuole e delle sue conseguenze.

In allegato, in fondo all'articolo, il documento integrale di proposta, che precisa le ragioni per cui la riapertura urgente delle scuole e dei servizi educativi fin dai centri estivi sono un’emergenza educativa di carattere prioritario, non accessorio, per il futuro del paese. Il saggio propone di adottare il metodo dell“accomodamento ragionevole” (ONU 2006), una mediazione scientifica attiva tra ragioni pedagogiche e ragioni epidemiologiche in rapporto all’evoluzione nel tempo della pandemia nei diversi territori del paese e alle esigenze sociali e pedagogiche sempre più urgenti.

* Raffaele Iosa è stato maestro, direttore didattico e ispettore scolastico. Ha fatto parte del gruppo che ha scritto il Regolamento dell'autonomia della scuola nel 1998. Per dieci anni si è occupato di soggiorni terapeutici dei bambini bielorussi come presidente di AVIB-Associazioni di volontariato italiane per la Bielorussia

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