Le parole pubbliche sono da ascoltare con attenzione. Oltre il loro significato diretto, rivelano la cornice di riferimento di chi le pronuncia. Rimandano ad un mondo di significati ulteriori, aprono o chiudono sguardi e orientamenti possibili, in riferimento ai luoghi nei quali vengono pronunciate. Forse è lo svolgere da alcuni anni laboratori di ricerca sulle parole della nonviolenza che mi sollecita a porre particolare attenzione alle parole. Comunque sia, molte di quelle pubbliche pronunciate sabato 16 marzo mi hanno colpito, perché desuete nei luoghi dove sono state dette, nei quali da tempo non trovavano più cittadinanza, se non occasionalmente retorica.
Ha iniziato al mattino il nuovo “vescovo di Roma”, Jorge Mario Bergoglio, il quale nello spiegare alla stampa le ragioni della scelta del nome “Francesco” ha fatto diretto riferimento ai poveri, alle guerre, alla relazione con l’ambiente. Assumendo un nome talmente evocativo di un significato preciso, rispetto proprio a queste parole, che in otto secoli nessun altro papa aveva mai osato farlo. I suoi primi gesti da papa, almeno sul piano dei simboli, paiono esprimere una certa coerenza con le parole dette.
Ha continuato nel pomeriggio la nuova presidente della Camera dei Deputati, Laura Boldrini, che nell’assumere le sue funzioni ha evocato i diritti degli ultimi – a iniziare dai migranti, i detenuti, i “morti senza nome che il nostro Mediterraneo custodisce” – e le periferie del mondo, la lotta contro la povertà e “non contro i poveri”, i diritti della Costituzione da “rappresentare e garantire uno ad uno.” Diritti scritti nelle aule del Parlamento ma “conquistati fuori, liberando l’Italia e gli italiani dal fascismo”. Parole non vuote e, soprattutto, non occasionali perché pronunciate da chi ha difeso per anni i diritti umani per conto delle Nazioni Unite. Un impegno sociale fondato sui valori di civiltà appare alla base di questo nuovo impegno politico
Ha concluso a sera il nuovo presidente del Senato della Repubblica, Pietro Grasso, il quale mentre pronunciava il discorso d’insediamento alla Presidenza, si è detto “molto dispiaciuto” di non poter essere a Firenze con Luigi Ciotti, Libera e le migliaia di giovani che hanno partecipato alla “Giornata della Memoria e dell’Impegno in ricordo delle vittime delle mafie.” Lotta alle mafie, giustizia, cambiamento le sue parole chiave. Antonino Caponnetto ricordato come punto di riferimento da magistrato. Un’idea della politica finalmente ancorata alla legalità sembra essere tornata in Parlamento.
Dopo anni di parole vuote – e in certi casi anche oscene, fasciste, razziste, false, conniventi – queste parole pubbliche mi hanno colpito per essere chiare, nitide, pulite. Costituenti quasi una necessaria ecologia della parola. Pronunciate in tre luoghi simbolici di Roma, da tre nuove personalità pubbliche, nel giro di poche ore di un sabato di marzo, esse sembrano confermare l’ipotesi suggestiva avanzata dopo le elezioni da Marco Revelli, su il manifesto del 5 marzo, di trovarci nel pieno – nel nostro piccolo – di un’epoca assiale, di “un tempo in cui il mondo ruota sul suo asse, e ogni cosa si rovescia”.
Naturalmente chi, come noi, si richiama all’insegnamento di Aldo Capitini sa che le parole, anche le più importanti e sincere, sono la condizione necessaria ma non sufficiente per rovesciare (o tramutare, direbbe Capitini) la realtà. Soprattutto quella religiosa e politica. Le quali oggi sono talmente incrostate di vecchio e di inquinato che, accanto alle parole – quelle dette e le molte ancora da dire – servono subito, molte e limpide, buone azioni. Azioni concrete, vere e rivoluzionarie. Tuttavia, dopo tanti anni, ci siamo gustati per un giorno le buone parole, dette nei giusti luoghi. Anche questo poco, per ora, non è poco.
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