Anche settembre se n’è andato. In un lampo. Gli ultimi petali dell’anemone color cipria che ho sul terrazzino della cucina sembrano quasi volersi ritirare. Alcuni volteggiano delicatamente nell’aria prima di andare a coricarsi nel cortile.
Nel giardino del carcere di Milano Opera l’erba è tagliata così bassa che sembra una moquette. Per andare da Tropi, nella sartoria Borseggi, si passa davanti al nuovo panificio, dove Elisa e Mauro della cooperativa In Opera stanno insegnando un lavoro ad alcuni detenuti. Fanno panini, focacce e torte. Una bontà. Gli abbiamo regalato i grembiuli e confezionato delle borse per il pane in cotone rosso fuoco. Eravamo titubanti sul colore, ma alla fine sono piaciute, come il pane “talmente buono che va a ruba!”.
Tropi ha confezionato quelle borse con una passione quasi commovente, ha curato ogni particolare, ogni piccolo dettaglio. Una volta finite le ha stirate e poi piegate come se fossero suoi figli. Sabato mattina infine si è vestito di tutto punto ed è uscito. In permesso. Alle sue spalle il cancello. Sembrava un sarto “di Panama” – lo prendevamo in giro – ma stava benissimo. E poi era felice. E fiero. Della sua libertà e delle sue borse.
Abbiamo montato un gazebo a Milano in via San Vittore perché invitati all’evento “I frutti del carcere”, una giornata dedicata all’economia carceraria e a incontri con detenuti e personaggi pubblici, organizzata dall’associazione La Cordata, per far conoscere il lavoro in carcere e i suoi frutti. Con noi c’era anche Federica, la nostra presidente, instancabile, e poi Enrico, che ci ha aiutato al mattino, e Luigi, che ci fa cucire i taccuini che poi rivende ai musei.
Come il pane, anche le borse di Tropi sono andate a ruba. Che bellezza! Dovevate vederlo. Gli altri detenuti erano usciti scortati dagli agenti. Lui no. Quel giorno era libero. Completamente. Una ricchezza che solo quando la perdi ne capisci il valore.
Tropi l’ha davvero capito? Io credo di sì. E si vede. E ne sono contenta.
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