Non profit

Le banche dei poverisfondano anche in Borsa

Microcredito Che cosa rivelano le classifiche del 2007

di Redazione

È marocchina la prima istituzione di microcredito al mondo. Lo ha sancito l’annuale report realizzato da Cgap, il Consultative Group to Assist the Poor, un consorzio di 33 agenzie per lo sviluppo private e pubbliche, affiliato alla Banca mondiale. Le classifiche pubblicate da Mix Market, il più ampio database pubblico sulla microfinanza, hanno preso in considerazione 820 maggiori realtà, valutandole sotto diversi parametri: dalla cosiddetta “outreach”, cioè dalla capacità di penetrazione nei segmenti poveri della popolazione, alla produttività, al rapporto costi di struttura/risorse investite nel microcredito. La classifica alla fine premia realtà piccole, mentre le grandi (quelle con maggiori beneficiari e maggiore entità di prestiti erogati) non compaiono nelle prime dieci posizioni.
Secondo uno studio realizzato da Deutsche Bank, il bacino potenziale del microcredito è di un miliardo di persone, contro i 100 milioni effettivamente oggi raggiunti. Sempre lo stesso studio prevede che da qui al 2015 il sistema avrà decuplicato le sue dimensioni anche a livello di volume di prestiti: dai 25 miliardi di dollari attuali a 250. Le aziende di microcredito nel mondo sono circa 10mila; 30 sono quelle con dimensioni sopra i 100 milioni di dollari, mentre le prime cento fanno girare 20 miliardi di dollari, cioè l’80% delle somme prestate a livello mondiale. C’è anche chi si è quotato in Borsa come la messicana Banca Compartamos o la Equity Bank, kenyana. Scelte che hanno suscitato perplessità tra molti operatori ma che sono ben giustificate dai parametri economici.
La Banca Compartamos si è quotata in Borsa il 20 aprile 2007: notizia che il Nobel Muhammad Yunus ha definito «scioccante», perché in questo modo si corre il rischio di dover alzare i tassi di interesse per mantenere appeal presso i mercati finanziari. Di parere opposto un altro personaggio simbolo del microcredito, la brasiliana Maria Otero: secondo lei proprio il fatto di potersi procurare capitali in modo efficiente e a buon mercato è il mezzo per tenere bassi i tassi di interesse. La banca messicana con la vendita del 30% delle azioni ha raccolto 450 milioni di dollari, portando il valore dell’istituto a 1 miliardo 400 milioni di dollari.
Del resto le prime 176 società di microcredito, sempre secondo lo studio di Deutsche Bank, hanno una reddività alta, con un roe (return on equity) del 17,2%, superiore a quello di gran parte delle banche commerciali.
C’è poi un altro fattore molto importante, estremamente promettente per la crescita di queste istituzioni: i poveri hanno iniziato a risparmiare e quindi a mettere i loro soldi nelle stesse banche che hanno permesso loro di sottoscrivere piccoli prestiti. La classifica di Mix Market vede in testa la Bri, banca indonesiana che ha ben 30 milioni di correntisti. Al secondo posto la Grameen Bank che sfiora i 7 milioni. Secondo l’Undp, il programma dell’Onu sullo sviluppo, i poveri assoluti mettono da parte in media, in denaro o in natura, il 15% del loro reddito.

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