Famiglia

Le balle globali ovvero tutti i conti che non tornano sulla Rete

È bastato un giorno al Global Forum di Napoli, dove Vita è stata invitata a tenere una relazione, per capire che il vero digital divide sta tra le promesse e la realtà

di Riccardo Bonacina

Centoventidue delegazioni governative, decine di ministri, la crème dell?industria privata di telecomunicazioni. Tutti a Napoli spesati, dal 15 al 17, per discutere dell?impatto delle Ict (Information-Communication-Tecnology) sull?organizzazione del governo (sia nazionale che mondiale). Si celebra un grande abbraccio tra governi e colossi privati. Tra i temi sul tappeto, nel susseguirsi di workshop e sessioni plenarie, anche il digital divide che anziché attenuarsi si aggrava giorno dopo giorno. Fuori, a un paio di chilometri di distanza (il centro di Napoli è, infatti, blindatissimo), le manifestazioni e qualche scontro tra i reparti di polizia e gli antagonisti della globalizzazione. Al Third Global Forum siamo invitati anche noi, di Vita, insieme a Peacelink e a Unimondo, per dire il punto di vista delle realtà non profit a proposito delle strategie per combattere il divario tecnologico, la più nuova tra le forme di apartheid. Ma, per parteciparvi bisogna davvero farsi largo, in ogni senso. Bisogna sbattere contro le staccionate e le fila di blindati che separano il quartiere intorno a Piazza del Plebiscito e Palazzo Reale dal resto della città: persino Gambrinus è chiuso. E bisogna non lasciarsi intrappolare dalle contrapposte retoriche: quella di chi con le promesse ha lucrato, quella della «nuova rivoluzione», del «nuovo potere dato ai cittadini», «del momento storico e del crocevia della nuova era», del «governo trasparente», tutte citazioni letterali del messaggio di Bill Gates, tutte balle spaziali. Dall?altra parte quella degli antagonisti per cui: «È cominciata l?era della colonizzazione interiore e della sorveglianza algoritmica», «bisogna difendersi dal capitale che ha trovato il modo di trasformarsi in Grande venditore» (da un loro documento). La retorica e la realtà Contro le retoriche ci aggrappiamo alla realtà, che, come spesso capita, è capace di mettere le cose a posto e di svelare di colpo bugie e astrazioni. Aeroporto di Napoli, venerdì 16 marzo. Come promesso agli arrivi c?è il check point del Global Forum con la hostess incaricata, si chiama Veronica. Sprovvista di computer (sic!), si dà un gran da fare con una montagna di tabulati per rispondere a chi, con gli occhi sbarrati per l?assenza di tecnologie di qualsiasi tipo, si rivolge a lei per l?accredito. Ci rinunciamo: un taxi e via verso il Palazzo reale. È qui che (pur provvisti della magica tessera professionale di giornalista) cominci a sbattere contro un vistoso apparato di polizia e di sbarramenti a transenna (una sorta di piccola Shengen). Il mito per tutti è il gazebo di via Console Cesario. Ci impieghiamo non meno di un?ora per circumnavigare Piazza del Municipio e Maschio Angioino e trovare il pertugio giusto. Arrivati al mitico gazebo ecco finalmente il primo computer del Global Forum sulle ICT, ma le sorprese non sono finite. Il computer è scollegato e il pass è la semplice scritta a mano, ?Relatore?, su un foglietto di tre centimetri per tre. Quante rivincite si prende la realtà. Sì il Global Forum dedicato alle ICT, nei suoi aspetti reali e non nei proclami, è davvero una splendida metafora di tutti i problemi dell?incontro cruciale tra informatica e telecomunicazioni, i computer che non ci sono o sono scollegati, gli operatori che non sanno usarli nel foyer del San Carlo, nominano un problema dopo l?altro, disegnano lo iato enorme tra promesse e realtà delle cose. Se l?idea di un governo trasparente e partecipato tramite internet e le nuove tecnologie va a farsi benedire appena giunti all?aeroporto di Napoli, l?idea dell?accessibilità diventa imprecazione appena provate a collegarvi al sito ufficiale del Global Forum: non è accessibile e non risponde alle linee guida appena emanate dal Governo! Non parliamo poi della sicurezza: il sito Ocse, organismo promotore del Forum, è clonato con un semplice clic dai ragazzi di Officina ?99, e messo all?asta per finanziare le proteste in piazza. Global Forum, una metafora Palazzo Reale, Sala F. Finalmente a tema il Digital divide. L?argomento, a dire il vero, aleggia su tutte le giornate ma la mancanza di analisi e di passioni non indicano strade serie. Per le aziende multinazionali di telecomunicazione e informatica la soluzione del problema è presto detta: «Cari governi, noi siamo a disposizione, comprateci i Pc e le applicazioni e distribuitele ai poveri. Noi vi verremo incontro», dicono all?unisono i manager della globalizzazione. Così da Bill Gates a Di Maio di Telecom. Barbari e approfittatori. Ci pensa Pippa Norris, professoressa all?Università di Harvard (Usa) a rimettere le cose a posto, bando agli affari, parliamo di realtà. Vorrebbe mostrare le slide, ma ovviamente al Global Forum non funzionano, snocciola però il dato fondamentale: dal ?97 ad oggi il digital divide si è aggravato. Se nel ?97 l?Africa contava la miserrima percentuale di 0,024 sugli utenti nel mondo, nel 1999 tale percentuale è scesa allo 0,018. La professoressa Norris parla anche di Social divide negli Usa e nell?Unione europea (tutte le tabelle sul sito internet: www.pippanorris.com), tra giovani e anziani, manager e operai, abitanti dei centri urbani e delle zone rurali, ed anche tra uomini e donne. Il digital divide cresce Riguardo l?Africa anche noi di Vita insistiamo: nel 2000 (dati a settembre) nel continente Africano sono stati circa 1 milione gli utenti internet, ma 700 mila nel solo Sud Africa, l?unico Paese che abbia infrastrutture telefoniche e di telecomunicazioni. In Africa, infatti solo una famiglia su 100 ha il telefono, e il 90% dei telefoni sono ubicati nelle grande aree metropolitane, mentre il 90% della popolazione africana vive in aree rurali. Il costo delle connessioni e degli abbonamenti sono esorbitanti (circa 6 milioni la connessione e 4 milioni l?abbonamento web). E le politiche per combattere il Digital divide che hanno visto coinvolte le grandi agenzie Onu e le multinazionali di settore insieme ai governi africani hanno dato risultati ridicoli quando non anche umilianti. Un esempio? Nell?intero continente africano grazie ai finanziamenti internazionali e all?apertura di siti governativi i istituzionali sono state consultate nel 2000 circa 150 milioni di pagine, ebbene il 50% dei visitatori erano nord americani, nell?altro 50% in grande maggioranza europei. Evviva. Isabel Hernandez, della Commissione economica America Latina, non è meno dura di noi. Affida il suo messaggio alle immagini che propongono il lavoro dei gruppi di alfabetizzazione in America Latina. Ricorda: sono oltre 1 miliardo le persone analfabete nel mondo, il 90% dei 2,5 miliardi di pagine web sono fatte in inglese. Se continuerà così, conclude la Hernandez, il digital divide non potrà che aumentare e avremo così una forma definitiva di apartheid tecnologico, poiché le due velocità sono incomparabili. Quali strategie? Che fare, quindi? Come intervenire? Noi diciamo la nostra, e alla fine anche il ministro Bassanini chiede d?approfondire. Bisogna che il digital divide non si limiti più ad essere lo slogan per qualche affare in più delle multinazionali o di qualche governo. Occorre incoraggiare progetti che vedano come alleati di pari dignità i governi, le aziende e le espressioni organizzate della società civile. Solo così gli investimenti potranno incardinarsi sui bisogni reali delle società in cui si interviene e provare risposte vere. Occorre che le aziende offrano pacchetti a basso costo sia per le connessioni che per le applicazioni concependo tale politica in termini di investimento e produttivi, non come esercizio di carità. Snoccioliamo gli esempi possibili. In Bangladesh in tre anni gli accessi ad internet sono passati da 1000 (nel ?97) a 50 mila nel 2000. Ma il protagonista di tale sviluppo è stato il sistema ideato da Muhammad Yunus che dopo la Grameen Bank ha fondato nel ?95 la Grameen Phone Limited, nel ?96 la Grameen Shakti (società elettrica) e nel ?98 la Grameen Cybernet. Così in Brasile Rodrigo Baggio nel ?95 fonda il Comité para la Democratizazion de la Informatica, un?associazione tra fondazioni, imprese e istituzioni internazionali. E in 5 anni crea 68 scuole di informatica nelle favelas che hanno dato lavoro a 32 mila giovani. Oggi il suo modello è esportato in Colombia, Cile, Argentina e Filippine. L?elenco continua, sono esperienze di sviluppo e di partecipazione. Per il resto c?è la retorica, per tutti, o gli affari, per pochi.


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