Welfare
Le associazioni dei migranti: numeri, scopi e caratteristiche
La fotografia di 2.114 associazioni che contribuiscono “dal basso” a tenere unita e coesa la società multiculturale fungendo da ammortizzatori sociali in molti ambiti.
Mentre gli archivi ufficiali hanno continuamente aggiornato il numero degli immigrati regolari presenti in Italia, arrivati ormai alla soglia dei 5 milioni, sul numero e le caratteristiche delle loro associazioni (su cui pure sono state condotte indagini apprezzabili, ma parziali) era necessaria un’operazione più incisiva, che unisse la ricerca sui registri ufficiali a quella su internet, alla rilevazione sistematica mediante questionari e a un sistema di reperimento “a cascata” attraverso le reti associative già esistenti.
È così che, adottando questo metodo integrato e “multicanale” nell’ambito di un progetto cofinanziato dal Fondo Europeo per l’Integrazione dei cittadini di paesi terzi e promosso dalla Direzione Generale per l’Integrazione e le Politiche di Immigrazione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, il Centro Studi e Ricerche IDOS, tra febbraio e giugno 2014, ha condotto una mappatura delle associazioni di migranti attive sul territorio nazionale, distinte per collettività estera di riferimento e per territorio di ubicazione, rilevando una serie di informazioni sulla natura, le finalità, gli ambiti di intervento prevalenti e altre caratteristiche in grado di fornire un quadro descrittivo di questa importante espressione di rappresentanza dei migranti in Italia.
Per realizzare la ricerca, è stata adottata una definizione di “associazione di migranti” in base alla quale sono state considerate tali tutte le associazioni, di fatto o riconosciute:
– che siano state fondate da migranti e/o da figli di migranti (giovani provenienti da un contesto migratorio, ovvero seconde generazioni);
-o la cui maggioranza dei soci sia costituita da migranti e/o da figli di migranti;
-o il cui Consiglio direttivo sia formato in maggioranza da migranti e/o da figli di migranti.
Pur essendo probabile che questi requisiti non si trovino sempre compresenti, è stato sufficiente
riscontrarne anche soltanto uno per includere l’associazione in questione nella mappatura effettuata. Seguendo questo criterio, sono state ben 2.114 le associazioni di migranti censite sull’intero territorio nazionale, un numero pari a oltre il doppio di quello cui erano giunte le indagini precedenti più recenti. Distribuzione territoriale e collettività estere di riferimento
All’interno del territorio nazionale, la distribuzione delle associazioni di migranti mappate ricalca sostanzialmente quella degli immigrati nel loro complesso. Con 772 associazioni di migranti localizzate al proprio interno, il Nord Ovest ospita la quota di gran lunga più consistente (36,5%: oltre un terzo del totale), precedendo nell’ordine il Nord Est (558, pari al 26,4), il Centro (471 e 22,3%), il Sud (199 e 9,4%) e infine le Isole (67 e 3,2%).
La Lombardia, che da sola ne conta addirittura 496 (il 23,5% del totale nazionale), è la regione italiana in cui se ne trova il numero in assoluto più elevato, precedendo il Lazio (261, pari al 12,3% di tutte quelle presenti in Italia), l’Emilia Romagna (228 e 10,8%) e il Piemonte (212 e 10,0%), che rappresentano le uniche regioni italiane che conteggiano al proprio interno più di 200 associazioni, coprendo oltre la metà del totale nazionale censito. Seguono ancora il Veneto (177 e 8,4%), il Trentino Alto Adige (120 e 5,7%, di cui 74 nella Provincia Autonoma di Trento e 46 in quella di Bolzano) e la Campania (105 e 5,0%), le quali a loro volta completano il novero di regioni che contengono, ognuna, non meno di 100 di associazioni di migranti e che, insieme alle prime, si spartiscono complessivamente i tre quarti di tutte quelle nel Paese.
In quasi tutte le regioni la quota più alta di associazioni di migranti si concentra nella provincia del capoluogo, sebbene in una misura differenziata: in rapporto ai rispettivi totali regionali, detengono percentuali nettamente maggioritarie le province di Roma (88,9%: 232 associazioni su un totale regionale di 261), Genova (86,2%: 50 su 58), Cagliari (76,7%: 33 su 43), Perugia (71,4%: 30 su 42), Napoli (70,5: 74 su 105), Torino (63,7%: 135 su 212) e Milano (63,1%: 313 su 496).
Analizzando la ripartizione territoriale delle associazioni delle principali nazionalità di riferimento, si osserva – riguardo alle 10 nazionalità più rappresentate – che le associazioni di:
– senegalesi si concentrano per oltre un terzo in Lombardia (36,5%, pari in tutto a 46), più di una su otto in
Veneto (13,5%: 17) e per poco meno di un decimo in Emilia Romagna (8,7%: 11), cui seguono
immediatamente Toscana (7,1%), Piemonte e Trentino Alto Adige (5,6%);
– marocchini per oltre un quarto in Lombardia (28,0% e 35), per poco meno di un quinto in Emilia
Romagna (18,0% e 23) e per circa un ottavo singolarmente in Trentino Alto Adige (12,8% e 16) e Piemonte (12,0% e 15);
– peruviani per oltre i due quinti in Lombardia (41,0% e 43), per circa un quinto nel Lazio (21,9% e 23) e per più di un decimo in Piemonte (11,4% e 12);
– albanesi per poco meno di un quinto in Piemonte (18,4% e 18), per circa il 15% sia in Lombardia che in Trentino Alto Adige (15 ciascuna) e per oltre un decimo in Emilia Romagna (11);
– ecuadoriani per la metà in Lombardia (49,3% e 37), per circa un quarto in Liguria (24,0% e 18) e un ottavo nel Lazio (12,0% e 9);
– moldavi per più di un terzo in Veneto (36,1% e 26), per circa un settimo nel Lazio (13,9% e 10) e per un ottavo in Emilia Romagna (12,5% e 9);
– ucraini per circa un terzo nel Lazio (33,8% e 22) e per quasi un quarto in Campania (23,1% e 15), mentre sfiorano un decimo in Veneto e Lombardia (ciascuna con il 9,2% e 6);
– filippini per i due quinti in Lombardia (40,6% e 26), per circa un sesto nel Lazio (17,2% e 11) e per poco meno dell’8% ciascuna in Piemonte, Veneto e Campania (7,8% e 5);
– cinesi per un quarto in Toscana (24,0% e 12), per un quinto in Lombardia (20,0% e 10), per una quota di poco inferiore in Piemonte (18,0% e 9) e per un sesto nel Lazio (16,0% e 8);
– bangladesi per poco meno di un terzo nel Lazio (31,0% e 13), per oltre un quarto in Veneto (26,2% e 11), per un settimo in Lombardia (14,3% e 6), cui seguono Marche (7,1%), Piemonte e Trentino Alto Adige (4,8% ciascuna).
Caratteristiche strutturali
Di tutte le associazioni di migranti che di volta in volta hanno fornito un’informazione sulle caratteristiche qui sotto descritte (per ognuna della quali c’è stata, infatti, una quota variabile di casi in cui non è stato possibile ottenere l’informazione richiesta), si consideri che:
–Oltre un terzo (35,3%) dichiara di essere stata fondata da migranti o da figli di migranti (seconde generazioni), i quali comunque in oltre la metà delle associazioni (51,3%) costituiscono la maggioranza dei soci e per un altro terzo abbondante di casi (34,9%) rappresentano addirittura la totalità dei soci, cosicché si può dire che, anche a prescindere dal fatto che tali associazioni siano state fondate da migranti o da loro figli, in oltre 5 casi su 6 costoro ne rappresentano la totalità o la maggioranza dei soci. Del resto, quasi la metà di tutte le associazioni che hanno risposto (46,0%) ha un Consiglio Direttivo formato per la maggior parte da migranti o loro figli.
– Ben i tre quinti (59,7%) contano un numero di iscritti che, pur maggiore di 10, non supera i 100; solo il 12,2% ne ha tra i 100 e i 200, mentre un altro decimo non raggiunge neanche i 10 associati. Quelle che vantano oltre 500 iscritti rappresentano solamente il 6%. Il numero di iscritti mediamente contenuto è dovuto al fatto che si tratta spesso di realtà che nascono in modo molto spontaneo, a partire da un’ideale condiviso tra pochi all’interno delle più ampie collettività migranti di appartenenza.
– ben 8 su 10 sono nate dal 2000 in poi; in particolare, quasi 3 su 5 tra il 2000 e il 2009 e oltre un quinto (21,1%) tra il 2010 e il 2014, mentre una parte molto ridotta (meno del 3%) si è costituita prima del 1989. Ciò vuol dire che quasi la totalità delle associazioni di migranti cesnite non supera i 24 anni vita e, in particolare, 4 su 5 sono costituite al massimo da 14 anni, il che conferma una vita media di queste realtà che raramente supera i 3-4 lustri, anche per le sempre crescenti difficoltà e restrizioni che molte di loro incontrano per accedere a risorse economiche.
– la quasi totalità (il 91,7%) fa ancora affidamento – in maniera esclusiva o complementare ad altri canali – a forme di autofinanziamento, impegnando così gli stessi associati a tenere economicamente in vita la struttura; una quota ancora sensibilmente inferiore alla metà delle associazioni contattate (appena il 41,1%) riesce ad accedere a fondi pubblici (siano essi comunitari, nazionali o locali) e solo poco più di un sesto (17,4%) gode di sovvenzionamenti privati. Una circostanza che dovrebbe far riflettere, da un lato, sui requisiti eccessivamente rigidi (e, di fatto, per molti proibitivi) a cui viene spesso vincolata la possibilità di concorrere a finanziamenti pubblici e, d’altro lato, all’esigenza di rinforzare e qualificare maggiormente l’associazionismo dei migranti per quel che riguarda la capacità organizzativa, gestionale e di progettazione. – A questa situazione è collegato anche il fatto che, per la maggior parte di tali associazioni, il raggio di azione è effettivamente limitato al contesto provinciale (61,6%) e/o comunale (56,0%) di appartenenza, estendendosi al massimo a quello regionale (51,8%), mentre quote ancora molto minoritarie promuovono iniziative che hanno un respiro nazionale (30,3%) o anche sovranazionale (20,5%).
Finalità e ambiti di intervento prevalenti.
Finalità e ambiti di intervento prevalenti
Di tutte le associazioni censite che hanno fornito una risposta a proposito delle proprie finalità statutarie e delle attività prevalenti in cui sono impegnate, si rileva che:
– Ben 8 su 10 (79,3%) hanno, come finalità, quella di favorire l’integrazione dei migranti e circa i tre quarti (73,9%) di promuovere e favorire le culture d’origine di questi ultimi. Si tratta dei due scopi di gran lunga più diffusi e gli unici che riguardano assai più della metà delle associazioni in questione. Al di là delle specifiche modalità operative messe in atto per darvi seguito, la finalità primaria riguarda quindi l’armonizzazione delle differenze specifiche, di cui i migranti sono portatori, all’interno del contesto sociale di accoglimento, così da tutelare e promuovere la coesione sociale, ma senza neutralizzare o rinunciare agli specifici patrimoni culturali e identitari di riferimento, a favore di un “modello” di integrazione chiaramente interculturale. E ciò rappresenta un segnale “dalla base” indubbiamente molto significativo, anche per quanti sono chiamati a elaborare politiche di integrazione a livello locale e nazionale.
– La finalità immediatamente successiva è quella della mediazione interculturale (44,6% delle associazioni che hanno risposto in proposito), seguita dalla formazione (34,5%) e dall’assistenza e tutela legale dei migranti (30,6%). L’ultimo grande scopo rilevato con una certa frequenza è il contrasto alle discriminazioni (29,1%) connesse alla condizione di migrante, le quali vanno dalle più grossolane (come quelle che riguardano i tratti somatici, il colore della pelle o il modo di vestirsi e di esprimersi, che stanno alla base di atteggiamenti xenofobi) alle più sistemiche (la strutturale relegazione a nicchie del mercato del lavoro più faticose, precarie, sottopagate e contrattualmente meno garantite; la strutturale preclusione di alcuni ambiti e livelli occupazionali, con una mobilità sociale bloccata; il mancato riconoscimento delle qualifiche e dei titoli; l’accesso negato ad alcune misure di welfare ecc.).
– Tra gli ambiti, invece, in cui le associazioni concentrano prevalentemente la loro attività e i loro interventi, spicca quello della mediazione interculturale (in tutte le sue molteplici declinazioni operative), in cui è impegnata la maggioranza assoluta di esse (51,2%). Seguono le azioni a favore delle seconde generazioni, in cui profonde energie il 43,1% delle realtà associative. Questa circostanza per un verso è di grande conforto, visto che l’integrazione dei figli dei migranti presenta problematicità urgenti e specifiche (essendo legate a esigenze spesso molto diverse, se non addirittura divergenti, da quelle delle prime generazioni) per cui sapere che di tali questioni si fanno già carico diverse associazioni di migranti fornisce un appiglio importante, in termini di risorse operative, alle istituzioni chiamate a programmare azioni in questo campo; ma per altro verso costituisce la spia di un’urgenza che chiede attenzione, collaborazione e sostegno da parte della società civile, delle amministrazioni e delle istituzioni, in varia misura “toccate” dalla delicata problematica.
– I servizi di accoglienza dei migranti (di primo e di secondo livello) rappresentano il terzo più diffuso ambito operativo delle associazioni (40,9%), precedendo nell’ordine le attività di apprendimento dell’italiano e delle rispettive lingue madri dei migranti (39,4%), quelle di supporto al disbrigo delle pratiche amministrative e burocratiche (per lo più riguardanti le procedure di rinnovo o conversione dei permessi di soggiorno, di richiesta dei permessi CE, di acquisizione della cittadinanza italiana ecc.: 37,1%), e quindi da una serie di azioni attinenti alcuni degli “assi” di intervento principali individuati sin dal 2009 nel piano governativo sull’integrazione: la scuola e lo studio (32,9%), il lavoro (32,8%), la salute (29,7%), la casa (23,1%).
– Come era prevedibile, un servizio come quello della assistenza e tutela legale, per il carattere specialistico che possiede, risulta offerto da una quota relativamente contenuta di associazioni di migranti (poco più di un quinto: il 21,9%), precedendo quello di apprendimento di altre lingue rispetto all’italiano e alla lingua madre di riferimento dei migranti (10,5%).
Le conclusioni, suggerite dagli stessi rappresentanti dei questo vasto e in parte poco conosciuto universo associativo, suggeriscono di non lasciarsi impressionare dalle dimensioni il più delle volte ridotte, dalla struttura spesso informale, dagli scarsi mezzi finanziari, dal raggio d’azione territorialmente limitato e dall’operatività canalizzata sovente su problemi molto circoscritti, immediati e quotidiani.
Si tratta di una rete fitta, sebbene anche estremamente variabile, che – come le radici nascoste nella terra impediscono a quest’ultima di frantumarsi e franare – contribuiscono “dal basso” a tenere unita e coesa la società multiculturale in cui viviamo, fungendo da ammortizzatori sociali in molti ambiti in cui ancora sussistono frizioni e dinamiche penalizzanti, essendo così di grande utilità al paese di accoglimento dei propri membri, senza trascurare (ma anzi valorizzando) il legame con quello di origine.
Per questo è stata pressoché unanime, da parte dei rappresentanti contattati durante la mappatura, la richiesta di maggiore attenzione alle loro attività e di vicinanza e sostegno alle loro esigenze, a livello sia istituzionale sia sociale.
Fonte DossierImmigrazione
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