Famiglia
Le 300mila donne mutilate da Fujimori
Perù, i veri dati sulla campagna di sterilizzazione forzata
“Un figlio è una bocca da sfamare in più”. Questo era il motto della pianificazione famigliare in Perù fino a qualche tempo fa. La frase era scritta sui camioncini che percorrevano i villaggi più poveri per quello che veniva ufficialmente definito Programma di contraccezione chirurgica volontaria. Oggi si sa che più 300mila donne sono state sottoposte a sterilizzazione forzata dal 1996 al 2000, durante il secondo governo dell?ex presidente Alberto Fujimori.
Esiste finalmente anche un documento ufficiale, reso pubblico lo scorso 6 settembre dal presidente della commissione sanità del Congresso di Lima, in base al quale è stata aperta un?inchiesta parlamentare. Un segno incoraggiante della svolta democratica inaugurata dal nuovo governo di Aleandro Toledo, che su questa questione sembra proprio voler andare fino in fondo. Il documento contiene 110 mila testimonianze di donne sottoposte a sterilizzazione chirurgica con la forza o con l?inganno, in condizioni igieniche e sanitarie inadeguate. Per questo motivo alcune di loro hanno subito danni gravi, come quelli prodotti da tagli e lesioni a organi vitali, reazioni a sedativi o analgesici, complicazioni legate all?anestesia. Oltre alle conseguenze fisiche, molte si sono portate dietro per tutti questi anni un senso di vergogna e timore che ha impedito loro di raccontare quello che era successo.
«Nella cultura andina una donna che non può avere figli è emarginata dalla famiglia e dalla comunità. Molte delle donne ingannate dal personale sanitario che compiva le sterilizzazioni hanno vissuto in una situazione di vergogna e di assoluto isolamento in questi anni». A parlare è Ivana Borsotto del Movimento laici America Latina (Mlal), che ha vissuto come volontaria in Perù proprio negli anni in cui venivano praticate le sterilizzazioni forzate.
Si ricorda bene, Ivana, i ?festival della legatura delle trombe?. «Arrivavano i camioncini e la campagna di sterilizzazione veniva trasformata in una specie di festa. Il personale paramedico in un paio di giorni faceva le operazioni e poi ripartiva, lasciando le donne senza assistenza». In alcuni casi la sterilizzazione coatta si è conclusa con la morte delle pazienti o gravi conseguenze postoperatorie.
«In molti casi le donne venivano invitate a sottoporsi a controlli generici», racconta Ivana. «Alcune si presentavano per un mal di denti e venivano sterilizzate. Altre venivano convinte a firmare fogli di cui non conoscevano le conseguenze. Si è scoperto che persino gli aiuti alimentari destinati alle famiglie più povere venivano concessi a chi si sottoponeva alla sterilizzazione. Si è parlato anche di retate dell?esercito per sterilizzazioni di massa».
In Perù tutto comincia nel 1991 quando il presidente Fujimori indica l??Anno dell?austerità e della pianificazione famigliare? e lancia per il quinquennio seguente il Programma nazionale di popolazione. Nel 1996 viene approvato il Programma nazionale di salute riproduttiva e di pianificazione famigliare 1996-2000. Formalmente si tratta di mettere a disposizione servizi sanitari per la sterilizzazione volontaria. Alcune organizzazioni di donne cominciano però a rendere noti gli abusi compiuti e nel 1997 vengono raccolte le prime denuncie.
Un?avvocatessa coraggiosa, Giulia Tamayo, comincia a viaggiare per le Ande e raccoglie i racconti delle donne. Sono i tempi in cui è fortissimo Fujimori e quasi onnipotente Vladimiro Montesinos, il capo dei servizi segreti oggi sotto accusa per corruzione, appropriazione indebita di fondi statali, traffico di armi e per aver comandato i massacri delle squadre della morte.
Negli stessi anni in cui veniva teorizzata l?eliminazione della povertà attraverso la pianificazione delle nascite, dalle casse dello stato scomparivano qualcosa come 380 milioni di dollari, tutti finiti sui conti privati di Fujimori, Montesinos e del loro entourage di ministri e parlamentari. Giulia Tamayo scopre di aver messo le mani in un vespaio quando iniziano le minacce di morte, le aggressioni per strapparle i dati di cui è in possesso. Ogni volta che parte per le Ande le fanno sapere che ogni suo movimento è controllato.
Ma le organizzazioni di donne la sostengono. La Tamayo va avanti e coordina un programma di Amnesty International per portare alla luce quello che sta succedendo. Nel ?98 esce un rapporto del Comitato dell?America latina e dei Caraibi per la difesa dei diritti delle donne. Le denuncie confermano l?esistenza di obiettivi minimi di sterilizzazione programmati dal governo: 100 mila interventi nel ?96, 130 mila nel ?97, 165 mila per il ?98.
Con il crollo del potere di Fujimori e lo scandalo corruzione che ha travolto il Perù la possibilità di far luce su quegli anni si è finalmente aperta. Le donne del Perù hanno aspettato abbastanza.
Un appello di solidarietà
Il Mlal, Movimento laici America latina, fa appello a tutte le organizzazioni di donne italiane perché esprimano la loro solidarietà alle peruviane che da tempo conducono questa battaglia contro le sterilizzazioni forzate attuate dal governo fujimorista, per il loro risarcimento e per la la verità sulle violazioni dei diritti umani. L’appello è rivolto in particolare a tutte le commissioni Pari opportunità, da quelle comunali alla Commissione Nazionale, perché promuovano un pronunciamento del governo italiano, di apprezzamento dell’impegno in questo campo del nuovo governo peruviano anche come riconoscimento della autenticità del processo di transizione democratica che il Perù sta vivendo. L?associazione propone a chiunque sia interessato ad approfondire questa iniziativa di mettersi in contatto con Mlal, Viale Palladio 16, 37138 Verona, chiedendo di Ivana Borsotto, email: italia@mlal.org, www.mlal.org e mette a disposizione la sua rete di contatti con ong, enti locali e istituzioni peruviane.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.