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Le 100 organizzazioni di “Per un nuovo welfare”: «Disponibili ad accogliere profughi afghani»

«Le immagini di questi giorni fotografano impietosamente come venti anni di inutile guerra non hanno riportato né la giustizia, né la libertà per l’Afghanistan», si legge nella nota delle 100 organizzazioni di “Per un nuovo welfare”. «Non possiamo ora semplicemente “ritirarci”, dobbiamo far avanzare la pace investendo con reale utilità una parte di fondi pubblici nei corridoi umanitari per offrire rifugio a tutti coloro che avendo collaborato con la nostra missione e con la società civile afghana oggi rischiano la vita»

di Redazione

Le Organizzazioni della Società civile riunite nella Rete denominata Per un nuovo Welfare dichiarano la loro immediata disponibilità a farsi parte attiva per allestire in breve tempo un sistema di corridoi umanitari dall’Afghanistan verso l’Italia, per ospitare i dissidenti e i perseguitati del regime talebano.

«Non possiamo stare a guardare impotenti ad una nuova e più tragica Srebrenica, lasciando da sola la società civile afghana», si legge nella nota. «Come tutti, prendiamo atto del fallimento dell’operazione militare voluta dagli USA ed appoggiata dalla NATO e che fu chiamata originariamente “Infinity Justice” (giustizia infinita) da George W. Bush e che, solo dopo, per ragioni diplomatiche, fu ribattezzata “Enduring Freedom” (libertà duratura). Le immagini di questi giorni fotografano impietosamente come venti anni di inutile guerra non hanno riportato né la giustizia, né la libertà per l’Afghanistan. Ad al Quaeda si è sostituita l’ISIS, ancora più feroce, ed il terrorismo dal 2003 ad oggi ha mietuto ancora più vittime in Europa e non solo».

«Dopo venti anni di fallimenti militari», continua la nota, «le forze della NATO stanno lasciando la terra afghana ad un destino che non è quello “naturale” di quel popolo, ma l’esito di decenni di tensioni militari e paramilitari imposte da governi esterni come la Russia, l’Inghilterra e gli Stati Uniti d’America. Dopo queste tensioni geopolitiche esogene al popolo afghano, è fin troppo semplice affidare questa nazione, al centro di evidenti interessi geostrategici, al suo destino prossimo futuro senza esserne responsabili.

Come popolo italiano abbiamo pagato un duro prezzo a Nassiriya in un’altra guerra iniziata male, in Iraq (con la giustificazione poi smentita della necessità di una guerra preventiva) e finita peggio (con la nascita dell’ISIS al posto del regime decadente di Saddam Hussein) ed un prezzo ancora più alto lo abbiamo pagato in venti anni di presenza in Afghanistan con 53 soldati caduti e 700 feriti ed una spesa di quasi 9 miliardi di euro, per ritrovarci oggi con zero risultati nella fase di chiusura della missione e tante aspettative tradite da parte della popolazione civile afghana che si era fidata degli impegni assunti dai nostri Governi.

Per rispetto alla memoria di tutti questi caduti e per tutti i caduti di quella nazione, che come tutte le nazioni consideriamo nostra sorella, non possiamo ora semplicemente “ritirarci”, dobbiamo far avanzare la pace, in ogni modo ed investendo con reale utilità una parte di fondi pubblici, che inutilmente avremmo speso in attività militari, nei corridoi umanitari per offrire rifugio a tutti coloro che avendo collaborato con la nostra missione e con la società civile afghana oggi rischiano la vita e dobbiamo batterci perché si riconosca in tutta Europa un immediato diritto di asilo per tutti gli afghani, come abbiamo fatto per i profughi della Siria. Siamo pronti anche noi a fare la nostra parte, mettendo a disposizione dei corridoi umanitari tutte le nostre sedi ed il nostro sapere organizzativo. Ma bisogna agire e bisogna farlo subito».

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