Mondo

L’azzardo? L’unico sogno che ci è rimasto

Intervista a Vanni Codeluppi, sociologo del biocapitalismo

di Benedetta Verrini

«In un’epoca di crisi economica, la vincita assume la dimensione
del miraggio collettivo». Così «si risparmia al discount e si rinuncia
alla pizza per permettersi una puntata» «Il fenomeno dei giochi light va letto nel tempo in cui s’incarna. Quando questo tempo è contrassegnato da una crisi economica importante, che porta con sé una mancanza di prospettive e di certezze sul futuro, il gioco perde la sua dimensione futile ed entra in una sfera patologica». Vanni Codeluppi, sociologo, lettore dei trend del nostro tempo, dalla vetrinizzazione sociale al biocapitalismo, interpreta la “corsa al gioco” come un segnale del malessere sviluppatosi in questi ultimi anni.

Vita: Che significato ha il gioco in un’epoca come la nostra?
Vanni Codeluppi: Rappresenta, con diversi gradi d’intensità, una fuga dalla realtà. Stiamo vivendo una crisi economica che ha abbattuto molte certezze, che ha tolto alle persone la capacità di vedere il proprio futuro, di progettare. Per gran parte delle persone giocare significa aggrapparsi al sogno, evadere per un attimo dalla vita quotidiana. Per alcuni significa anche vivere una possibilità concreta di fare il colpo grosso e cambiare completamente vita.

Vita: Ma qual è il ritratto sociologico del giocatore light?
Codeluppi: Escludete le fasce alte e le fasce basse della popolazione. Nella fascia media, grande contenitore della nostra società, troverete i giocatori, più numerosi man mano che le risorse culturali ed economiche si abbassano.

Vita: Ma perché sottrarre al proprio quotidiano fino a 150 euro al mese? Non sarebbe più gratificante mangiare una pizza in famiglia o andare dal parrucchiere o comprarsi qualcosa?
Codeluppi: Questa crisi ha fatto rivedere i modelli di consumo. È un fenomeno ancora in divenire: è saltata la visione positiva degli acquisti. Le cose che un tempo erano considerate importanti non lo sono più. Adesso si va a fare la spesa al discount, si comprano i vestiti ai mercatini dell’usato, si compra ciò che è necessario alla casa nelle aste su internet. Quello che si risparmia può essere utilizzato per il gioco.

Vita: E non c’è condanna familiare o sociale per chi vive così?
Codeluppi: Al contrario. Il Gratta e vinci, il Bingo, il Superenalotto sono fenomeni di moda. In questi anni c’è stata una propagazione di questo modello, la stampa e le tv ne parlano, amplificano la portata delle vincite. Ci sono campagne pubblicitarie. Ora c’è quella di Win for life, il gioco che ti rilascia uno stipendio per 20 anni. Questo messaggio esercita un’influenza sulle persone, le condiziona. La pubblicità legittima il gioco, lo rende una cosa normale. Chi sfida la sorte è in gamba.

Vita: Che dire di uno Stato che pubblicizza il gioco?
Codeluppi: Non è l’unico caso in cui lo Stato stimola comportamenti sociali riprovevoli e ci guadagna pure. E come per tutte le dimensioni che sviluppano dipendenza, come fumo e alcol, anche nel gioco alla fine succede che alcuni ne diventano vittime. Di fronte a questo non possiamo che allargare le braccia, è il tempo che stiamo vivendo. Pensate alla scuola: come agenzia educativa che ha il compito di formare i cittadini, dovrebbe anche intervenire nell’ambito dell’educazione al consumo. I nostri ragazzi ne avrebbero bisogno, dovrebbero imparare a leggere i messaggi pubblicitari, dovrebbero sapersi difendere dal mailing selvaggio.

Vita: È un problema italiano o transnazionale?
Codeluppi: Certamente è transnazionale. L’aspetto comune è uno solo: quando il gioco si diffonde in fasi di benessere, le persone lo vivono per quello che è. Quando diventa il must sociale in un’epoca di crisi economica, allora assume la dimensione del sogno collettivo.

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