Famiglia

L’azzardo legale disgrega le reti civiche

Giocano da soli, davanti a una slot, e solo in Italia alimentano un business da 84,4 miliardi di euro. A farne le spese è il tessuto vitale, civico della nostra società. Ecco perché, già negli anni '90, Robert Putnam indicava nel "machine gambling" la causa del più radicale pericolo per il legame sociale. Che fare? Se ne parla al Festival dell'Economia di Trento, con l'antropologa Natasha Dow Schüll

di Marco Dotti

Molti tra i nostri lettori senz'altro ricordano il sociologo Robert Putnam come autore di un libro che ha segnato per qualche tempo il dibattito nel nostro Paese.

Parliamo di un volume, La tradizione civica nelle regioni italiane (Mondadori, 1993), che si calava nel pieno di un dibattito sulla sussidiarietà e le comunità locali che vedeva protagoniste quelle che Putnam chiamava "reti di impegno civico", in altri termini: l'associazionismo, il volontariato, il terzo settore.

Che cos'è il "capitale sociale", termine che va ovviamente inteso sociologiciamente, ce lo spiega lo stesso Putnam:

Per capitale sociale intendiamo le norme che regolano la convivenza, le reti di associazionismo civico, elementi che migliorano l’efficienza dell’organizzazione sociale promuovendo iniziative prese di comune accordo​.

Il capitale sociale, nella tesi di Putnam, facilita la cooperazione spontanea, la collaborazione e i legami di comunità. Li facilita poggiando su tre pilastri:

1) la fiducia: aver fiducia significa avere buona reputazione e la buona reputazione a sua volta genera nuova fiducia;

2) le norme: la convivenza e la reciprocità rette da regole riducono il rischio di fuoriuscita dal sistema;

3) le reti sociali di impegno civico: veicolano la fiducia, svolgendo il ruolo di mezzo e, al tempo stesso, fine della fiducia stessa (io mi fido di qualcuno di cui tu ti fidi e via discorrendo.

Non è il caso di soffermarci su un lavoro che – erano gli anni di Mani Pulite – diede luogo a accese discussioni e non pochi fraintendimenti. È il caso, però, di segnalare come un lavoro successivo, benché non centrato sulle specificità italiane, ma sulle quali aveva e ancora avrebbe molto da dire, proprio nel nostro paese sia caduto nel silenzio.

Converrà infine ricordare en passant che proprio nel periodo di Mani Pulite, il 1992-1993, quando l'attenzione generale era rivolta alle aule giudiziarie, fuori da quelle aule iniziava la prima ondata di "liberalizzazioni" italiane nel settore dell'azzardo legale. Insomma, proprio allora si è stretto quel nodo scorsoio che, ancora oggi, molti "decisori" e opioni maker stentano a considerare tale, nonostate vi siano – loro per primi, col loro silenzio/assenso – appesi.

Putnam è infatti autore – tra gli altri – anche di un libro molto influente, apparso nella sua forma originaria nel 1995 e ampiamente rimaneggiato nel 2000, ma mai tradotto in italiano.

Parliamo, in questo caso, di Bowling Alone, testo-chiave per capire il declino del "capitale sociale" negli Stati Uniti e, di riflesso, nei paesi che ne subiscono l'onda breve o lunga di influenza. Un declino prodotto (anche) da una nuova pratica, a cui il titolo del libro fa riferimento: quella del "giocare da soli".

In Bowling alone Putnam sostiene “che molte forme di legami con la famiglia e gli amici, le associazioni civiche, i partiti politici, i sindacati, i gruppi religiosi, e così via sono in declino negli Stati Uniti già da 30-40 anni”.

È la strategia dell'io minimo, descritta in quegli anni da un altro influente critico sociale, Christopher Lasch:

In un’epoca di turbamenti la vita quotidiana diventa un esercizio di sopravvivenza. Gli uomini vivono alla giornata; raramente guardano al passato, perché temono d’essere sopraffatti da una debilitante “nostalgia”, e se volgono l’attenzione al futuro è soltanto per cercare di capire come scampare agli eventi disastrosi che ormai quasi tutti si attendono. In stato d’assedio l’io si contrae, si riduce a un nucleo difensivo armato contro le avversità.

Giocare a bowling da soli è un'immagine molto forte della disgregazione delle reti civiche e sociali. Putnam ha osservato il farsi e disfarsi di queste reti tra il 1980 e il 1993, attraverso la lente del gioco. Nell'arco di 13 anni, il totale dei giocatori di bowling in America era cresciuto del 10%, ma il numero di quelli che lo facevano all’interno di gruppi si era ridotto del 40%. Lo stesso, a partire dai primi anni Novanta, è avvenuto per quel gioco eminentemente sociale che sono le carte.

Il gioco a carte è stato letteralmente divorato dal machine gambling, il gioco d'azzardo attraverso le macchine – in particolare i video poker – così come il solitario, gioco che manteneva una sua struttura e delle sue regole, è stato divorato dal solitario di microsoft, unicamente improntato all'automazione ossessiva. Fin qui, la disgregazione.

C'è poi un altro movimento, che potremmo chiamare della costituzione di una nuova antropologia del giocatore-consumatore. L'antropologia dell'io minimo, ritirato, piegato, incapace non solo di costituire reti, ma persino di vedere l'altro. È qui che si innesta quel gambling alone, quell'azzardare in solitudine che a partire dalla metà degli anni Ottanta del secolo scorso ha radicalmente trasformato economie dell'azzardo e antropologie del gioco.

Le ha trasformate sotto la guida di un nuovo fenomeno: il machine gambling che ha permesso di ingegnerizzare la dipendenza. Eravamo agli albori del ludo capitalismo o casinò capitalismo, ma già allora era possibile individuare le più concrete fratture nella muraglia apparentemente solida di una società post-industriale.

Di casino capitalism, d’altronde, parlava già negli anni Ottanta l’economista e studiosa relazioni internazionali Susan Strange, alla quale si deve un interessante tentativo di analizzare criticamente un sistema dove l’obiettivo non è più “produrre valore” (una casa, un oggetto, un artefatto), ma “estrarre valore” non solo dalle cose ma anche dal potenziale di vita delle esistenze umane. Il ludo-capitalismo era entrato, fin da subito, nel bios, nella struttura affettiva e vitale dell'umano. E l'impegno sociale – fiducia, reputazione, relazione di rete – non poteva che declinare, sostituita ovunque dalla falsa comunità del gioco e dal denaro.

Putnam usa così l'esempio del machine gambling solitario, il gioco d'azzardo legale e alle macchinette, per illustrare il declino dell'impegno sociale negli Stati Uniti. “Qualunque visitatore nuovi casinò che appaiono sul nostro territorio”, scrive, “ ha davanti a sé spaventose distese di ettari'giocatori' soli e curvi, in silenzio, avvinti da one armed bandits, banditi con un braccio solo”.

Ricordiamo che inglese, la slot machine è conosciuta anche col nome di one-armed-bandit: “bandito con un braccio solo”.

Il “braccio”, ossia la leva che un tempo azionava gli ingranaggi meccanici e muoveva i rulli e simboli colorati nella macchina, oggi non c’è più. Non ci sono più nemmeno ingranaggi o rulli. Tutto è stato sostituito da chip elettronici e circuiti elettrici, ma la sostanza non cambia: è sempre con un ladro inanimato che il giocatore post-moderno si confronta.

Questo confronto, come ci spiega Natasha Dow Schüll, che lunedì 1 giugno alle 15,30 sarà ospite del Festival dell'Economia di Trento, è asimmetrico e fuorviante.

Asimmetrico perché la macchina e il suo design (le cosiddette "architetture dell'azzardo", titolo del libro di Natasha Schull il uscita a fine giugno anche in Italia) si muovono avendo al proprio interno informazioni che il giocatore non ha. Non solo: la macchina interagisce con l'ambiente in cui è immersa e trae dal giocatore più informazioni di quante questi sia disposto a concederne: gran parte delle macchinette di moderna generazione, infatti, sono dotate di sistemi di rilevazione biometrica.

Disgregante perché il machine gambling è frutto di un doppio inganno: il primo, nei confronti del giocatore: il secondo, più subdolo, nei riguardi di tutti quegli osservatori che credono che l'errore stia "nella testa" del giocatore e nelle strutture cognitive che presiedono alla cosiddetta elaborazione umana. In realtà, il problema andrebbe rovesciato: le macchine impostano valide aspettative nel sistema cognitivo umano, ma sistematicamente le violano, mettendo così a dura prova la razionalità dei giocatori, non la loro irrazionalità.

È proprio la razionalità il perno che salta – strutturalmente, inevitabilmente – nel machine gambling. Sia in termini individual che pubblici. Anche la ragion di stato – specie quella italiana – sembra andata a catafascio dinanzi alle macchinette.

Il machine gambling italiano, nel 2014, ha infatti fatturato 46 miliardi e 770 milioni di euro: una diseconomia senza pari nel mondo. La nostra è oramai una Repubblica fondata sull'azzardo. Quali conseguenze antropologiche, etiche, bio-tecnologiche ed economiche comporti questa diseconomia lo possiamo vedere in termini di solidarietà, relazione, fiducia, capitale sociale.

Tutto qusto, mentre il capitale sociale si sta disfacendo sotto i nostri occhi, le reti sociali soffrono, l'opportunismo di molti decisori locali – non tutti, per fortuna – cresce e il machine gambling ambisce a diventarne l'amaro, crudele surrogato del civismo che fu quando – per bocca di qualche decisore politico, ma per conto di non si sa bene chi – si parla di "restituire al welfare e al sociale" una parte degli introiti del settore (pensiamo al cosiddetto "fondo buone cause" previsto dalla Legge Delega per ora parcheggiata al Ministero dell'Economia e delle Finanze).

Anche di questo si parlerà al Festival dell'Economia di Trento, lunedì 1 giugno, in "Fondata sull'azzardo", un evento No Slot in compagnia di Natasha Dow Schull, Marcello Esposito e Luigi Guiso.

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