Economia

L’azione sociale passi dai bisogni ai sogni

L'intervento del presidente della Federazione italiana comunità terapeutiche docente della Scuola Quadri Terzo Settore: «Un Terzo settore che agisce solo per rispondere ai bisogni si chiude nella gabbia dell'emergenza»

di Luciano Squillaci

Quante volte, nel programmare un intervento su un determinato territorio, ci siamo chiesti quale modello di sviluppo è adeguato per quella comunità? Quale idea di futuro è coerente con la sua identità? Su quali attività o servizi si deve fondare un percorso di cambiamento perché sia efficace? La risposta a questi interrogativi, quasi sempre fornita in modo soggettivo, personalistico, o peggio “eterodeterminato”, ha creato in molti territori, soprattutto del meridione, processi avulsi dal territorio stesso e puntualmente, più o meno rapidamente, rigettati dalle stesse comunità.

L’approccio di sviluppo sociale delle comunità presuppone che il modello venga concretamente definito attraverso il protagonismo delle persone e degli attori istituzionali e non, che vivono nel territorio. Il presupposto su cui si fonda è duplice: a) qualunque processo di sviluppo, per essere duraturo e significativo, deve nascere dal reale protagonismo delle persone che vivono la comunità b) i legami relazionali sono il fondamento dei processi di cambiamento di un territorio. Tale approccio però non è puramente metodologico, non definisce esclusivamente strumenti per il “fare”. Al contrario, presuppone una precisa scelta che attiene alla dimensione politica dei diversi soggetti che agiscono la comunità, ed in particolare, tra questi, del Terzo Settore.

E per un ETS la dimensione politica si concretizza nella motivazione collettiva che rappresenta il senso dell’agire di un’organizzazione. Porta con sé l’urgenza di una scelta forte, di campo, a monte di qualsivoglia attività o servizio reso, per quanto prezioso ed importante. E’ la scelta di operare per il cambiamento, per la costruzione del benessere, per una visione di futuro ed è soprattutto consapevolezza dell’importanza del proprio ruolo. Trattasi in altre parole della costruzione condivisa, all’interno di un percorso comune, di una giustizia sociale che è altro, e molto più di un’assistenza verso i “bisognosi” o di una sensibilità verso temi rilevanti, quali l’ambiente, la cultura o lo sport. L’impegno per la costruzione, fondamento della stessa esistenza del terzo settore, di una società equa e solidale, capace di futuro, all’interno della quale possano trovare cittadinanza ed essere protagonisti tutti, a partire dalle fasce più deboli e fragili.

In tale visione il capitale sociale, frutto delle interazioni e delle relazioni tra gli attori di un territorio, è il presupposto allo sviluppo, l’humus sul quale si può poggiare il modello di comunità che si intende costruire. Nel tempo ci siamo abituati a progettare le nostre azioni partendo dai “bisogni” di un territorio. Questa modalità, ineccepibile sotto il profilo metodologico, ha però determinato un’abitudine al pensiero di retrospettiva: lavorare sui bisogni porta spesso ad agire per necessità, molte volte sull’emergenza. Porta inevitabilmente a guardare al passato, costruendo una visione di futuro fondata esclusivamente sulla risoluzione dei problemi e delle criticità. Lo sviluppo sociale di una comunità invece passa per le aspirazioni, per i desiderata delle persone che la abitano e necessita di un cambio deciso di paradigma. Richiede di passare dai “bisogni” ai “sogni”, dalla retrospettiva alla prospettiva. Si tratta di restituire così alle comunità la principale risorsa per il cambiamento: la consapevolezza di un futuro possibile.


In foto il progetto Dottor Sogni di Fondazione Theodora

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