Mondo

Lavoro: un inedito di Marco Biagi

Vita in edicola sabato 23 propone il commento dell'economista al Manifesto dei lavori presentato dalle Acli, oltre a un'ampia inchiesta sulle tensioni intorno all'art. 18. Un'intervista a Bobba

di Giampaolo Cerri

Biagi lo conosceva bene. Luigi Bobba aveva avuto, negli ultimi tempi, molte occasioni per incontrarlo, per discuterci, per confrontarsi. «L?anno scorso lo invitammo qui alle Acli, quando presentammo la nostra partecipazione a Obiettivo Lavoro la società interinale», ricorda. In quella occasione Marco Biagi «tenne a sottolineare come il lavoro temporaneo, se gestito anche con un?ottica sociale ? ed è il caso della nostra esperienza ? potesse portare a regolarità situazioni che avrebbero rischiato di rimanere nel sommerso e nel nero, trasformandosi in strumento di inserimento e promozione sociale», dice il presidente aclista. Il rapporto con le Acli da quel momento si infittisce: «Gli chiesi di tornare a presentare il Libro bianco», aggiunge, «e mi colpì l?assoluta semplicità e la disponibilità delle parsona ma soprattutto la grande capacità di ascolto. Nell?occasione, che poi si realizzò, gli vennero poste molte obiezioni e Biagi, diversamente da altri che hanno magari un?attitudine professorale e tendono a non valutare molto ciò che viene detto loro, mostrava di trarre dalle osservazioni stimoli efficaci per il proprio lavoro». Un approccio che emerge nettamente nel commento al Manifesto dei lavori lanciato dalle Acli: «Lui aveva inventato lo Statuto dei lavori con il ministro Treu», dice Bobba, «e le cose che oggi noi sosteniamo, le aveva dentro, ci aveva lavorato». Del giuslavorista bolognese, Bobba ricorda soprattutto «la capacità di parlare ad ambienti diversi, a non contrapporre, di non radicalizzare, ma di cercare una soluzione vera ai problemi: questa la sua lezione più importante». Lezione che Marco Biagi aveva replicato anche in un convegno Cei, organizzato in gennaio dal responsabile della Pastorale del lavoro, monsignor Giancarlo Bregantini. Bobba era fra i relatori. «Anche in quell?occasione, Biagi aveva confermato questa voglia di cogliere stimoli e contributi da ambienti diversi, per usarli nel proprio lavoro. Insomma, il tratto del tutto evidente della sua personalità era l?apertura intellettuale. Uno che aveva ben presente come, per la risoluzione dei problemi, sia necessario il confronto, pur dialettico, piuttosto che la rigidità e il procedere per decreti. Non un irenismo sterile, ma un realismo efficace». Attenzione alla realtà delle cose, che aveva spinto Biagi a dare il proprio contributo al Patto per il lavoro di Milano, in cui la flessibilità doveva essere utilizzata a favore dei soggetti svantaggiati. «La sua tensione di studioso era quella di trovare gli strumenti giuridico-contrattuali per tentare di includere i lavoratori: non una logica assistenziale, né un liberismo che considera la personae una variabile. La ricerca di Biagi puntava propria a individuare strumenti innovativi – e il Patto di Milano lo era – di fronte a una difficoltà. Invece di fare grida manzoniane, Biagi era uno che proponeva di tentare strade».


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