Welfare e tariffe
Lavoro sociale, dal Piemonte ancora un grido d’allarme
«Tantissime persone che non hanno alcuna responsabilità su queste politiche miopi ne subiranno gli effetti». Il presidente di Uneba Piemonte Amedeo Prevete interviene sulla provocazione lanciata dal numero di VITA "Provate a fare senza": «Senza un adeguamento delle tariffe, è a rischio la sopravvivenza dei servizi socio sanitari»

«Una provocazione intelligente, stimolante e attualissima. Una provocazione che deve fare paura». Amedeo Prevete è il presidente piemontese di Uneba, organizzazione di categoria del settore sociosanitario, assistenziale ed educativo con oltre mille enti associati in tutta Italia, quasi tutti non profit di radici cristiane. La provocazione a cui fa riferimento è quel “Provate a fare senza” che è il cuore del numero di marzo del nostro magazine (se sei abbonato si legge qui, se non lo sei ancora trovi le informazioni utili qui).
Un tema che in Piemonte si legge con particolare trasporto per il rischio che secondo il mondo della cooperazione sociale si sta sempre più concretizzando: l’insostenibilità del sistema del welfare. La causa è il mancato adeguamento delle tariffe in seguito all’aumento del costo del personale dovuto al rinnovo del contratto collettivo nazionale di lavoro delle cooperative sociali. Anche Uneba e i sindacati hanno firmato il rinnovo del contratto nazionale il 20 dicembre 2024: oltre a un incremento retributivo di oltre il 10%, il nuovo contratto prevede, tra le varie innovazioni normative, il contrasto alle violenze e molestie, i congedi per donne vittime di violenza e una maggiore attenzione alle lavoratrici in maternità.
Perché è una provocazione che deve far paura?
Perché alla fine chi sarà causa della fine del Terzo settore in Piemonte probabilmente non subirà effetti diretti, ma tantissime persone che non hanno alcuna responsabilità su queste politiche miopi ne subiranno gli effetti. Trovo così folle che la storia mai nulla insegni e troppe volte ci si concentri sul particolare senza mai aver presente il contesto generale. Inizialmente i santi sociali piemontesi, passando poi per migliaia di benefattori laici, arrivando quindi ai cooperatori, trovarono grande supporto nella politica del tempo che sempre ne intuì e ne validò l’importanza sociale e politica. Oggi ci troviamo in una situazione del tutto opposta: la cooperazione, le Fondazioni e gli enti analoghi si trovano di fronte una politica in gran parte sorda e miope rispetto alle evidenti criticità in cui sta annegando il settore socio sanitario. Molte realtà, benché dotate di professionalità, managerialità, storia e onestà intellettuale, stanno rischiando la loro sopravvivenza.
In Piemonte c’è apprensione per la tenuta dei servizi socio sanitari. Qual è il rischio?
Il rischio è che si creino più spazi per gestori for profit il cui fine non sarà esclusivamente la sostenibilità ma anche la remunerazione dell’investimento che, correttamente, non verrà reinvestita totalmente sull’attività con finalità sociali e di promozione territoriale (ovviamente questo non potrà mai essere lo scopo sociale di una società di capitali tantomeno di una multinazionale). Con logiche economiche certamente diverse. I sempre crescenti bisogni della nostra popolazione necessitano la presenza di entrambe le anime, ovvero quella non profit e quella for profit. Quel che è certo è che non vedo possibile l’esclusiva presenza del solo mondo profit perché non potrebbe farsi carico di tutti i bisogni e soprattutto se ne farebbe carico secondo la normale legge del mercato. Oggi il mondo del non profit, oltre a essere sussidiario nell’accezione più ampia possibile allo Stato, funge anche da “stabilizzatore” del mercato privato dei servizi socio sanitari e sanitari che altrimenti potrebbe avere una sorta di “oligopolio settoriale” con assai probabili conseguenze e con sicuri effetti sociali.
Cosa chiedete alla Regione Piemonte?
Da mesi, ma in realtà da anni, chiediamo la stessa cosa, ovvero l’implementazione di un modello sociosanitario piemontese che sia sostenibile. Sostenibilità economica e gestionale. La prima non può dipendere esclusivamente, come oggi, dalle risorse private dei fruitori e delle loro famiglie perché non è possibile, oltre che contrario alle attuali norme, che solo chi abbia la capacità economica abbia accesso ai Livelli essenziali di assistenza (Lea). La sostenibilità gestionale invece presuppone un serio lavoro condiviso di ristrutturazione dei modelli operativi, di incentivazione e sostegno alla definizione di percorsi formativi efficaci ed efficienti per professionalità specifiche. Infatti, un altro elemento problematico risiede nel fatto che alcune professionalità stanno scomparendo o quantomeno la quantità di questi operatori non è compatibile con il fabbisogno attuale e ancor meno in quello prospettico. Il tema della carenza di risorse umane è sicuramente un tema nazionale e sovranazionale ma in Piemonte assume contorni decisamente più critici rispetto ad altre regioni Italiane.
Quali sono le risorse economiche investite nel settore?
Il settore in Piemonte vale globalmente tra 1,7 e 2 miliardi di euro e crea occupazione per oltre 50mila persone. Considerati questi numeri si vede come “manovre di finanziamento pubblico” da 15-20 milioni di euro sono semplicemente azioni tampone e non strutturali. È un settore strategico che nei prossimi 20-25 anni vedrà aumentare ulteriormente i volumi di attività a fronte di un probabile costante decremento di risorse.

Quali i temi non più rinviabili?
La politica dovrà assumersi la propria responsabilità, consegnata dai cittadini, per decidere quale scenario lasciare alla collettività. A nostro avviso i temi urgentissimi sono l’implementazione di nuovi modelli socio sanitari sostenibili sia sotto un profilo economico (profili tariffari) che sotto un profilo gestionale (modelli e risorse umane). L’ottica non dovrà essere mono-focale ovvero i “conti” della Regione, oppure i “conti” degli enti erogatori o i “conti” dei cittadini fruitori ma dovrà contemplarli e contemperarli tutti decidendo in modo appropriato come allocare le risorse pubbliche e quale futuro lasciare ai cittadini piemontesi. Serve una co-progettazione o almeno una condivisione efficace tra tutti gli attori del sistema sia pubblici che privati. Infine, occorre evitare la disinformazione. Troppo spesso le dichiarazioni fanno emergere che la soluzione a questi problemi saranno la domiciliarità o le case di comunità e/o gli ospedali di comunità. Sicuramente, questi elementi saranno di enorme importanza strategica e sociale ma non saranno la soluzione ai problemi attuali del socio sanitario. Tali servizi non potranno essere sostitutivi (al netto di residuali casi) dei servizi socio sanitari attuali.
La fotografia in apertura è di Wendy Dekker su Unsplash
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