Primo maggio
Lavoro povero, le 7 proposte Acli per invertire la rotta
Il lavoro povero alimenta il declino demografico e del welfare: in 6 anni perderemo 1 milione di persone in età da lavoro. Le proposte delle Acli
di Alessio Nisi
Cresce il lavoro povero o a rischio povertà (quasi 1 donna su 2 sotto i 35 anni) e in trent’anni i salari sono scesi, unico caso in Europa, con un’ulteriore riduzione del 7% dopo la pandemia. Insieme all’assenza di welfare sociale si è giunti a una bassa occupazione femminile e, irrimediabilmente, al declino demografico. Siamo in un circolo vizioso dove l’impoverirsi del lavoro alimenta e subisce a sua volta l’impoverimento dell’economia, del welfare e il declino demografico, con un calo previsto, in 6 anni, di 1 milione di persone in età da lavoro.
Povero lavoro è sempre più sinonimo di Povero Paese. Ma si può ancora invertire la rotta, per questo proponiamo:
1. Istruzione e formazione professionale
La scuola e l’educazione sono le priorità per guardare al futuro e ormai devono accompagnarci per tutta la vita, introducendo il diritto alla formazione permanente. Tornino centrali per essere cittadine e cittadini innanzitutto pensanti e autori del mondo e del lavoro. Emblematicamente, ma non solo, s’introduca l’insegnamento della filosofia anche negli istituti tecnici e nella formazione professionale (che oggi garantisce occupazione quasi all’80% degli allievi e che deve essere oggetto di maggiori investimenti). Tecnica e cultura, pratica e pensiero sono parte dell’essere umani e del lavoro.
2. Inclusione
Si torni a un reddito minimo per tutte le famiglie in povertà assoluta e, insieme, si creino delle “Case del lavoro” nelle e delle comunità con una co-programmazione tra comuni, centri per l’impiego e Terzo settore, per favorire una reale crescita delle politiche attive nel territorio e l’inserimento delle persone più vulnerabili o con disabilità. Si torni a finanziare un welfare per tutti (non solo per chi può pagarselo), compresi assegni di cura per l’assunzione delle badanti, nidi e servizi di conciliazione, dando priorità a un piano straordinario per l’occupazione femminile.
3. Indice del lavoro dignitoso
Un indice scientifico che fissi la soglia di salario minimo nei diversi settori, valorizzando i contratti collettivi siglati dai sindacati maggiormente rappresentativi; una soglia che le sentenze possano prendere come riferimento, senza bisogno dei tentennamenti del Governo, e che contribuisca a legittimare solo contratti collettivi autentici e di qualità, non quelli opportunistici (vd. Lavorare pari).
4. Ispettori di comunità contro le emergenze del sommerso e degli incidenti mortali
Si coinvolgano comuni e terzo settore accreditato per il whistleblowing (le nuove norme che tutelano la riservatezza del lavoratore che segnala illeciti), insieme ai sindacati, nella prevenzione e nella lotta contro il crescente lavoro nero e le violazioni della sicurezza. Insieme a più formazione, più tecnologia e più ispettori, e alle norme degli appalti pubblici estese al privato, le comunità vanno mobilitate, come se si trattasse di un’alluvione.
5. Immigrazione
La legalità è fatta di diritti e senza immigrazione anche le industrie se ne andranno perché già oggi il numero dei ventenni è il 38% in meno dei cinquantenni. Serve una politica regolare, non sporadica e emergenziale, di accoglienza e integrazione. Insieme va rafforzata e aumentata la cooperazione allo sviluppo, in particolare con l’Africa, ma senza quelli che si rivelano spot come il piano Mattei visto che, a conti fatti, il Governo riduce di oltre 600 milioni le già poche risorse stanziate, invece di portarle allo 0,70 % del Reddito nazionale lordo come concordato nell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
6. Industria
Servono politiche industriali nazionali ed europee per uno sviluppo sostenibile, per tornare ad avere grandi aziende e per non perdere tanti ricercatori. Va bocciata l’autonomia differenziata: sarà la pietra tombale sull’industria italiana. Le politiche industriali, i servizi per l’industria, le infrastrutture strategiche, la ricerca universitaria concepite e governate in competizione tra regioni significano aumento dei costi, aumento della burocrazia e delle normative (21 invece di 1), aumento dei cda delle società partecipate, col duplice risultato di rendere la vita difficile a cittadini, famiglie e piccole e medie imprese e di avere una politica debole verso l’opportunismo delle multinazionali. Serve essere una regione dell’Europa e non dividersi in tanti staterelli, anche per avere norme europee sul rispetto dei diritti e dell’ambiente nelle catene di fornitura locali e globali.
7. Imposte
Oltre a un vero contrasto al sommerso, prevedendo una maggiore tracciabilità del denaro, si bocci la deriva politica che premia la rendita e la speculazione e carica tutto su lavoro e pensioni. Si promuova una fiscalità, anche europea, che elimini i paradisi fiscali, tassi correttamente le multinazionali, tocchi le grandi ricchezze, penalizzi le transazioni fatte solo per fare soldi accrescendo la bolla finanziaria globale. È urgente avere un fisco che premi lavoro e famiglie e favorisca gli investimenti di lungo periodo in uno sviluppo sostenibile, in particolare nel Green deal europeo.
In apertura foto di Pixabay
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