Famiglia

Lavoro minorile: una scheda per capire

Bambini ecoomucamente attivi, bambini al lavoro, bambini sfruttati, che differenza?

di Redazione

Lavoro minorile – Note sulle stime più recenti (ILO 2002) Nell?aprile 2002 l?IPEC (International Programme on the Elimination of Child Labour) e il SIMPOC (ufficio statistico dell?ILO per il monitoraggio del lavoro minorile) hanno reso noti, in un rapporto edito dall?ILO con il titolo ?Every Child Counts ? New Global Estimates on Child Labour?, i risultati di un?indagine che aggiorna i dati disponibili sul fenomeno, che risalivano al 1996 ed avevano finora costituito l?unico punto di riferimento quantitativo anche per l?UNICEF a tutti i livelli. I dati citati nel rapporto fanno riferimento all?anno 2000. Bambini economicamente attivi Nel mondo sono calcolati 211 milioni di bambini (5-14 anni) impegnati in attività economiche. In termini relativi, ciò equivale al 17,6% della fascia corrispondente di età. Se consideriamo anche i ragazzi da 15 a 17 anni, il numero globale cresce a 352 milioni, pari al 23% della fascia corrispondente di età (5-17 anni). Bambini impegnati in attività economiche è un concetto vasto che abbraccia quasi tutte le attività produttive e comprende ?il lavoro occasionale, quello non pagato, quello illegale e quello del settore informale dell?economia?. Questo indicatore è l?unico standard universalmente accettato per misurare il lavoro, secondo le definizioni ufficiali adottate dalla XIII Conferenza Statistica dell?ILO (1982). In assenza di strumenti di valutazione specificamente predisposti per il lavoro minorile, questo è stato spesso usato come il più prossimo indicatore del lavoro minorile. Il concetto di attività economica (economic activity) copre tutte le produzioni per il mercato (lavoro retribuito) e alcune tipologie di lavoro non retribuito, inclusa la produzione di beni per il proprio sostentamento. L?attività economica può svolgersi nel settore formale o informale dell?economia. Ad esempio, un bambino impiegato in attività non retribuite all?interno di una realtà produttiva orientata al mercato gestita da un familiare (agricoltura a conduzione familiare, commercio al minuto, ecc.) è considerato ?minore economicamente attivo?, così come lo è il bambino che lavora in qualità di domestico a casa di qualcun altro, mentre non è economicamente attivo il bambino che dà una mano nelle faccende domestiche all?interno della propria famiglia. Paradossalmente, quindi, non compaiono in queste stime i bambini assorbiti dalle faccende domestiche o dall?assistenza di familiari malati, anche se queste occupazioni possono avere un?intensità tale da ostacolare o rendere impossibile la frequenza scolastica. Per entrare a far parte della categoria dei bambini economicamente attivi occorre svolgere un?occupazione almeno per 1 ora a settimana. Ciò significa che fra i bambini economicamente attivi vi sono anche quelli che frequentano la scuola con maggiore o minore regolarità, accanto a bambini impiegati a tempo pieno. E? chiaro anche che non tutti i bambini economicamente attivi convivono con situazioni di sfruttamento tali da violare la Convenzione ILO n. 138 del 1973 sull?età minima lavorativa o la Convenzione ILO n. 182 del 1999 sulle peggiori forme di lavoro minorile. Lavoro minorile Il lavoro minorile (child labour) è un concetto più ristretto rispetto all?attività economica dei minori, e si qualifica a seconda delle fasce di età considerate. IPEC e ILO si attengono strettamente alla norma della Convenzione 138 del 1973 sull?età lavorativa, e considerano quindi che ?in linea generale essa dovrebbe essere posta a 15 anni?, fatta eccezione per i PVS, per i quali essa è generalmente fissata a 14 anni. Per la fascia 5-11 anni (per quasi tutti gli Stati 12 anni è l?età minima lavorativa per il lavoro più leggero), qualsiasi attività economica configura lavoro minorile. Per la fascia 12-14 anni sono bambini lavoratori tutti quelli economicamente attivi, tranne quelli che svolgono lavori leggeri (light work) . Nella fascia 15-17 anni sono bambini lavoratori i ragazzi impiegati nel lavoro rischioso (hazardous work) o nelle forme identificate dalla Convenzione n. 182 (worst forms of child labour). Sotto questo punto di vista, i bambini (5-14 anni) vittime di lavoro minorile vero e proprio sono 186,3 milioni, pari all?88,4% di quelli economicamente attivi. Considerando tutti i minori (5-17 anni), sono impiegati in child labour 245,5 milioni di bambini e ragazzi, pari al 69,8% di quelli economicamente attivi. Un altro modo di leggere queste cifre è dire che: – Tutti i bambini più piccoli (5-11 anni) economicamente attivi sono per definizione vittime di lavoro minorile in senso stretto – Tre quarti (75,8%) dei bambini da 12 a 14 anni di età svolgono lavoro non leggero, quindi sono a tutti gli effetti bambini lavoratori – La media generale (5-14 anni) è che quasi 9 bambini economicamente attivi su 10 sono sfruttati dal lavoro minorile, e solo 1 su 10 svolge attività economiche compatibili con la sua età – Meno della metà (42%) degli adolescenti (15-17 anni) sono propriamente considerati vittime del lavoro minorile: il loro numero coincide esattamente con quello dell?hazardous work (cfr. sotto) Lavoro rischioso Sono classificate come forme rischiose di lavoro minorile quelle che, per loro natura, provocano effetti dannosi alla sicurezza, alla salute fisica o psichica e allo sviluppo morale del bambino. La Raccomandazione n. 190 del 1999 dell?ILO (che integra la Convenzione n. 182) definisce come lavoro a rischio: – quello che espone i bambini ad abuso fisico, psicologico o sessuale – il lavoro sotterraneo, subacqueo, ad altezze pericolose o in spazi angusti – il lavoro con macchinari pericolosi – carichi eccessivi da trasportare – il lavoro in ambiente nocivo per temperatura, rumore, vibrazioni, contatto con sostanze dannose – il lavoro notturno – quello che costringe il bambino a vivere continuativamente all?interno delle proprietà del datore di lavoro – in generale, qualsiasi lavoro con orario superiore alle 43 ore settimanali per bambini o ragazzi fino a 18 anni di età è considerato hazardous work Il lavoro rischioso riguarda ben 111 milioni di bambini (5-14 anni), ossia il 52,7% dei bambini economicamente attivi e il 59,7% di quelli considerati vittime di child labour. L?ILO sottolinea questo dato come ?sorprendentemente elevato?. Forme intollerabili di lavoro minorile Le forme peggiori o intollerabili di lavoro minorile sono, secondo la lettera della Convenzione ILO n. 182 del 1999: – bambini oggetto di traffico (1,2 milioni) – bambini vittime di lavoro forzato o in schiavitù (5,7 milioni) – minori impiegati in conflitti armati (300.000) – bambini e adolescenti vittime di prostituzione e pornografia (1,8 milioni) – bambini impiegati in attività criminose (600.000) La stima globale è di 8,4 milioni: il totale delle categorie sopra elencate è superiore, ma l?IPEC suggerisce di non computare i bambini trafficati nel totale, perché la loro situazione transitoria condurrebbe inevitabilmente a duplicazioni nel conteggio. Comparabilità delle nuove stime con quelle del 1996 I 250 milioni di bambini lavoratori (5-14 anni) stimati dall?ILO nel 1996 facevano riferimento ai bambini economicamente attivi nel 1995 nei PVS, e non comprendevano quelli nelle economie in transizione dell?Est Europa. All?epoca, inoltre, non esisteva ancora una convenzione internazionale che facesse chiarezza sul concetto di ?lavoro rischioso? o ?forme intollerabili di sfruttamento economico?. In linea di massima, oggi il dato più omogeneo che abbiamo per un confronto è quello dei 211 milioni di bambini economicamente attivi. O, ancora più correttamente, dovremmo parlare di 206 milioni (5 milioni circa sono i bambini impiegati in attività produttive nelle economie in transizione). Alternativamernte, possiamo operare un paragone in termini statistici tra il 24,7% dei bambini economicamente attivi rispetto alla popolazione corrispondente d?età (dato 1996) e il 20,2% odierno. Quanto vale questo paragone? L?ILO suggerisce cautela in tal senso. Non è affatto improbabile che si sia in presenza di un trend positivo, ma le metodologie di indagine si sono così evolute da svuotare, almeno in parte, questa deduzione. Sicuramente oggi disponiamo di una fotografia molto più precisa del fenomeno rispetto ad allora: il campione su cui sono state effettuate le rilevazioni è almeno del 20% più vasto rispetto al 1996, e l?errore statistico si è ridotto ad una ?forchetta? tra lo 0,6 e il 2,4% in più o in meno. scheda pubblicata per gentileconcessione di Unicef Italia


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