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Lavoro, l’8,7% degli imprenditori italiani è straniero

A rivelarlo è “Il Rapporto sull’economia dell’immigrazione 2015” della Fondazione Leone Moressa. «Non avendo la possibilità di lavorare in alcuni settori, gli stranieri puntano su sé stessi», sottolinea Mauro Valeri, funzionario Unar

di Monica Straniero

«Il 2014 in Italia è entrata in vigore la nuova disciplina generale sulla cooperazione internazionale allo sviluppo, che assegna per la prima volta un ruolo preminente alle comunità immigrate. Un contesto normativo che riveste un significato importante nella vita dei 5 milioni di stranieri residenti in Italia. La migrazione, per quanto nel breve periodo possa generare “scompiglio sociale”, è un’efficace strategia di riduzione ella povertà, indispensabile in un’economia globalizzata di cui i migranti sono parte integrante. Un fenomeno che porta più benefici ai paesi di destinazione, principalmente sotto forma di gettito fiscale e contributi previdenziali, che a quelli di partenza. Ma perché questo avvenga non ci si può limitare a sfruttare la disponibilità e il basso costo della manodopera, ma è necessaria un’opera di integrazione dei nuovi arrivati nelle istituzioni economiche e social. Con queste parole Stefano Solaru , Direttore della Fondazione Leone Moressa, ha presentato l’edizione 2015 del Rapporto Annuale sull’Economia dell’Immigrazione.

Il tema del 2015, un anno difficile per la gestione dell’immigrazione irregolare e dei rifugiati, è la relazione tra immigrazione e sviluppo. «Un legame che non può essere etichettato unicamente come positivo o negativo, si legge nel rapporto, occorre piuttosto focalizzare l’attenzione sull’impatto positivo della migrazione, mitigandone allo stesso tempo gli effetti negativi».

In base ai dati disponibili nel 2014, nell’Unione Europea il 6,7% della popolazione è rappresentata da stranieri. Secondo le stime dell’Istat, al 1° gennaio 2015, l’8,3% della popolazione residente in Italia è straniera. Nel nostro paese si sta assistendo ad un mutamento delle modalità di ingresso. Si è infatti verificato un progressivo aumento dei cittadini lungo-soggiornanti e degli ingressi per motivi di ricongiungimento familiare. Tendenze accompagnate da un rilevante incremento degli ingressi irregolari di cittadini stranieri e delle richieste di protezione internazionale. “In tale quadro, gli occupati stranieri hanno raggiunto la soglia di 2,3 milioni, impiegati principalmente nei settori dei servizi, (47%), dell’industria (18,5%) e dell’edilizia (10,8%). La crescita occupazionale degli stranieri ha parzialmente compensato il calo della componente autoctona, scrivono i ricercatori della Moressa

Oggi lo sbarco è ormai l’immagine “top of the head” dell'immigrazione, al punto che l’opinione pubblica tende a identificare immigrati e profughi o richiedenti asilo come sinonimi. In realtà, precisa il rapporto, i 170.000 immigrati sbarcati sulle coste italiane, rappresentano a malapena il 3% dei circa 5 milioni di individui che compongono la popolazione immigrata regolarmente residente in Italia, In gran parte si tratta di lavoratori che hanno prodotto l’8,6% della ricchezza nazionale. Nel 2014 il “Pil dell’immigrazione”, ha così raggiunto i 125 miliardi di euro.

Dati che dimostrano come non sia più possibile ignorare l’apporto che l’immigrazione genera in termini di ricchezza prodotta. Tale contributo risulta ancora più evidente se letto alla luce del cambiamento demografico della popolazione autoctona. Sempre secondo il rapporto, tra la popolazione italiana 1 su 10 ha più di 75 anni, mentre tra gli stranieri appena 1 su 100. “Una diversa composizione demografica che ha un impatto non solo sul mercato del lavoro ma in particolare sul sistema del welfare”.

Infatti, in base agli ultimi dati disponibili delle dichiarazioni dei redditi 2014 (anno di imposta 2013), la Fondazione ha stimato che il contributo previdenziale dell’immigrazione al sistema pensionistico ha raggiunto quota 10,3 miliardi. Se poi si considera l’impatto fiscale dell’immigrazione, in Italia nel 2014 si sono registrati quasi 3.5 milioni di contribuenti nati all’estero per un ammontare di redditi dichiarati pari a 45,6 miliardi di euro. Nello stesso anno l’imposta versata dei nati all’estero rappresenta il 4,5% del totale, corrispondente a 6,8 miliardi di euro.

Eppure si continua a porre al centro del dibattito il rapporto tra costi e benefici dell’immigrazione per il nostro Paese. I ricercatori della Fondazione Leone Moressa sfatano il luogo comune secondo il quale lo Sato spende troppo per gli immigrati. In Italia le spese legate all'immigrazione, (sanità, scuola, pensioni, integrazione, lotta all'irregolarità), pari a 12,6 miliardi, rappresentano solo l’1,58% della spesa totale. La spesa pubblica italiana è infatti fortemente indirizzata verso la popolazione anziana. Mettendo a confronto la spesa pubblica per l’immigrazione e le entrate derivanti dal gettito fiscale e dai contributi previdenziali degli stranieri in Italia, la differenza tra entrate ed uscite mostra un segno positivo: + 3,9%.

Procedendo nell’analisi del rapporto, leggiamo che l’immigrazione contribuisce alle economie nazionale di destinazione anche attraverso l’imprenditoria. «La stessa Commissione europea, nel Piano d’azione Imprenditorialità 2010, ha attribuito agli imprenditori immigrati un ruolo fondamentale per il rilancio economico dell’Unione Europea e del suo sistema produttivo». Le ricerche della Fondazione hanno evidenziato che in Italia le imprese condotte dai nati all’estero rappresentano l’8,7% degli imprenditori totali, e producono 94,8 miliardi di euro di Valore aggiunto. «Nel periodo 2009/2014, gli imprenditori nati all’estero sono aumentati del 21,3%, mentre i nati in Italia sono diminuiti del 6,9%. Una realtà in crescita in tutte le regioni e in tutti i settori economici che non può più essere considerata una nicchia di bassa produttività».

«Tuttavia l’immigrazione nel lungo periodo produce benefici anche nei paesi d’origine grazie alle rimesse. Senza sottovalutare il fatto che quando gli emigranti ritornano a casa rappresentano una fonte di diffusione di tecniche e di cultura organizzativa preziose per i Paesi di partenza», aggiunge il direttore della Fondazione. A proposito delle rimesse, il rapporto sottolinea che il flusso di denaro che gli immigrati inviano in patria, pari allo 0.31% del PIL, (4,9 miliardi secondo la stima 2015), superano ampiamente la percentuale che l’Italia investe nei paesi d’origine, pari allo 0,16% del PIL, (meno di 3 miliardi di euro). Un dato che smentisce lo slogan più diffuso nel dibattito politico attuale, “aiutiamoli a casa loro”,. nel tentativo di trovare una soluzione all’immigrazione clandestina.

«Ma al di là dei dati, è necessario favorire una migliore integrazione degli immigrati, troppo spesso destinati a posti senza prospettive a lungo termine, sottopagati, e con scarse possibilità di diventare professionalità qualificate. Questo spiega anche l’aumento della presenza straniera nell’imprenditoria. Non avendo la possibilità di lavorare in alcuni settori, gli stranieri puntano su sé stessi», conclude il sociologo Mauro Valeri, funzionario UNAR, Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, che studia da anni le storie e i problemi legati all’inclusione degli immigrati.

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