Politica
Lavoro: Ires-Cgil, il 35% dei lavoratori guadagna 1000 euro mese
L'inchiesta condotta dall'Ires-Cgil su un campione significativo di oltre 6 mila lavoratori e lavoratrici in tutta Italia. Il dato eclatante e' che il 35% del campione guadagna meno di mille euro a
di Redazione
Una fotografia del lavoro in Italia da cui emerge il “basso livello delle retribuzioni, le differenze territoriali e tra le eta’, tra uomini e donne, tra lavoro stabile e lavoro precario”. Insomma “un grande problema sociale” che richiederebbe un approfondimento, “una inchiesta sociale” su cui si sono detti d’accordo sia il presidente della camera Fausto Bertinotti che quello del senato Franco Marini. Cosi’ il segretario della Cgil Guglielmo Epifani commenta l’inchiesta condotta dall’Ires-Cgil su un campione significativo di oltre 6 mila lavoratori e lavoratrici in tutta Italia. Il dato eclatante e’ che il 35% del campione guadagna meno di mille euro al mese, percentuale che sale al 49% tra le donne. Un altro 34% dei lavoratori guadagna circa 1.300 euro al mese, il 14,8% da 1.300 a 1.500 euro, solo il 16,6% oltre 1.500 euro. In ogni caso anche a parita’ di orario di lavoro svolto e’ significativo il differenziale salariale tra uomini a donne. Dall’inchiesta emerge anche il mondo del lavoro e’ diviso in due: il 74,9% ha un lavoro ‘tipico’, il 25,1% un lavoro non standard, ‘atipico’. In questa ultima categoria le donne sono in misura maggiore rispetto agli uomini (29,1% contro il 23,3%); poi ci sono i piu’ giovani (il 66,9% di quanti hanno fino a 24 anni), gli occupati nel settore privato (ben il 28,2%), i lavoratori del Sud e delle Isole (35,2%). Quanto alla flessibilita’, ben il 58,7% nel coglie gli aspetti positivi, pur precisando che e’ utile “se e’ accompagnata da diritti e tutele” ed accettabile “se riguarda una fase transitoria della vita”. Solo il 14,1% la ritiene “una opportunita’”. E’ tra le giovani generazioni che si registra una maggiore mobilita’ tra una occupazione e l’altra che spesso e’ indice di ‘instabilita’ professionale’. L’elevata mobilita’, in ogni caso, spiega la ricerca, “non per forza equivale e precarieta’ lavorativa” anche se “la maggiore mobilita’ si registra nelle aree piu’ dinamiche del paese”. Al contrario al Sue e nelle Isole “e’ piu’ diffusa la tendenza al secondo lavoro” che rappresenta spesso “una risposta all’insicurezza della condizione lavorativa” perche’ coinvolge soprattutto lavoratori ‘atipici’. tanto e’ vero che i cosiddetti “doppio-lavoratori’ guadagnano in media meno degli altri. Dall’inchiesta dell’Ires-Cgil emerge anche che il 43,8% degli intervistati non utilizza la propria formazione scolastica, a dimostrazione di una scarsa valorizzazione del capitale umano. Comunque la maggiore coerenza tra formazione scolastica conseguita e tipo di attivita’ lavorativa si rileva in corrispondenza dei livelli di istruzione piu’ elevati e differenze estremamente significative si riscontrano tra macro settore privato e pubblica amministrazione. Proprio per questo l’80% dei lavoratori avverte l’esigenza di accrescere il proprio curriculum formativo. Nel complesso, la gran parte degli intervistati (57,4%)esprime maggiori difficolta’ e sente la necessita’ di piu’ redditi in famiglia; solo il 29,5% vive in famiglie monoreddito. Rispetto alle aspettative verso il lavoro, il 39,5% si attende piu’ reddito, il 29,6% piu’ sicurezza per il futuro, il 24% piu’ gratificazione professionale e solo il 6,9% piu’ riconoscimento sociale. Nonostante le maggiori criticita’ (stabilita’ contrattuale e reddito), il proprio lavoro piace molto al 68% degli specialisti ad elevata professionalita’, al 66% degli insegnanti e al 43,4% di quanti svolgono un lavoro che richiede elevate competenze professionali non riconosciute. I livelli di soddisfazione sono piu’ elevati se iter formativo e percorso di lavoro sono coerenti. Tra le maggiori preoccupazioni che emergono dal campione, a tener banco sono le condizioni materiali: il rischio di non avere una pensione adeguata (29,9%), il rischio di non avere continuita’ di lavoro e quindi di reddito (26,5%) e il rischio di perdere il posto di lavoro (19,8%). Il 60% dei lavoratori immagine, infine, la propria condizione futura peggiore o al massimo uguale a quella dei propri genitori (il 68% degli ‘atipici’).
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