Welfare

Lavoro: il Manifesto delle Acli

Proposte su collocamento, famiglia, non profit e flessibilit

di Redazione

Collocamento Quale lavoro se il mercato non c?è? Il Manifesto delle Acli ricorda un paradosso tutto italiano: il collocamento riesce a inserire al lavoro solo 4 iscritti su 100. E la fine del monopolio statale, decretata nel 1997, non ha migliorato la situazione. Cause? La riforma ha creato una struttura a compartimenti stagni, per la quale chi fa formazione non può fare collocamento; chi fa collocamento non può fare orientamento e tirocini; chi fa mediazione domanda/offerta non può fare interinale e via enumerando. Troppi paletti, nessuna efficacia. E perché uno sportello unico per le imprese e tanti, troppi, sportelli per chi cerca lavoro? Se si vuole che l?ingresso dei privati e soprattutto del non profit sia reale, occorre quindi riformare legge e meccanismo. Un portale aperto. L?idea è quella di creare un portale aperto, flessibile, che si alimenti a partire dagli attori periferici pubblici e privati, creando un vero interfaccia tra domanda e offerta. Un?alternativa concreta al Servizio informazione lavoro-Sil, previsto dalla legge, e che non è mai partito pur avendo assorbito milioni di euro per la progettazione. È una strada che può offrire grandi opportunità se si pensa che già oggi internet, dopo gli amici, i parenti e i giornali, è il canale più utilizzato nella ricerca di un lavoro. Fondamentale poi recuperare alla gestione dei servizi per l?impiego i Comuni. «Al centro delle politiche locali del lavoro e dei servizi sociali», eppure totalmente ignorati dalla legge. Al limite, anche un ticket. I danni, ricordano le Acli, sono sotto gli occhi di tutti. Aziende che perdono commesse e rinunciano a espandersi perché non trovano in tempi rapidi le persone che cercano, mancato sviluppo delle potenzialità delle persone. I costi? «Rompiamo il tabù della gratuità a ogni costo», dicono le Acli, «prevediamo pure un ticket (ma non per i poveri) a patto che il servizio sia efficace, trasparente, accessibile». In sintesi: raccordo domanda e offerta, come servizio che il lavoratore accetta di pagare. Famiglia Non si può parlare di lavoro e di flessibilità se non si parla di famiglia. La società post industriale ne fa un soggetto decisivo. A essa si appoggiano i cittadini quando intraprendono percorsi formativi ed educativi, per tutelare i soggetti deboli (anziani, disabili, bambini, disoccupati); per redistribuire reddito. Stabilire da parte delle istituzioni una partnership con il soggetto famiglia significa crescita personale, sviluppo professionale e anche volano di nuova e buona occupazione. Sviluppare servizi. Assistenza, cura, lavori domestici e artigianali per la famiglia significa, tra l?altro, creare nuova occupazione mentre la tutela può favorire una flessibilità positiva. Lo strumento? Di nuovo il fisco. Rendendo deducibile dal reddito i costi sostenuti dalla famiglia per l?acquisto dei servizi per la casa e per le persone. Ma anche favorendo la regolarizzazione dell?occupazione di cittadini extracomunitari che sono ormai una componente strutturale della forza lavoro impiegata nei servizi alla persona e per l?abitazione. Due clandestinità. Nel lavoro di cura oggi si sommano due clandestinità: quella del cittadino straniero che non ha, in molti casi, un regolare permesso di soggiorno perché arrivato clandestinamente o con permessi di altro tipo (turistici, per studio, ecc.), e quella della famiglia che spesso non ha altre possibilità che utilizzare in nero un immigrato clandestino. Una strada che, oltre a non scardinare l?equilibrio che hanno già raggiunto migliaia di famiglie nel nostro Paese nella cura dei soggetti più deboli (bambini, anziani, infermi, portatori di handicap), favorirebbe l?emersione di una quota consistente di lavoro sommerso. Una flessibilità positiva del lavoro a favore della famiglia e soprattutto delle donne, con il part time, dotando di fondi la legge sui congedi parentali. Per la famiglia povera, soprattutto al Sud, introdurre un assegno cospicuo per ogni figlio a carico (2.500 euro all?anno), mutui a tasso zero e Irpef dimezzata per le giovani coppie entro il primo anno di matrimonio. Non profit Lavoro fa rima con non profit. Il Manifesto aclista ricorda il ruolo del Terzo settore nella creazione di nuova occupazione, 150mila addetti in 10 anni nella sola cooperazione sociale, ad alto valore aggiunto sociale (inserimento soggetti svantaggiati, assistenza) ne sottolinea le grandi potenzialità. Peccato che il Libro bianco del governo lo abbia considerato in modo del tutto marginale. Eppure, nelle sfide positive che il documento lancia(più occupazione, più qualità del lavoro, più inclusione sociale) il non profit può avere un ruolo decisivo. Il tabù della deducibilità. Se la deducibilità delle spese sociali ipotizzata per le famiglie torna utile anche a questo scopo, è fondamentale incrementare la deducibilità delle fondazioni, attualmente irrisoria. Le Acli propongono anche di convogliare l?8 per mille statale in un Fondo nazionale orientato allo sviluppo del settore. Utile poi a rilanciare l?occupazione al Sud, il rifinanziamento progetto Fertilità per lo sviluppo delle cooperative sociali nelle aree depresse. Sempre per il Mezzogiorno e per le imprese sociali, istituire borse annuali di lavoro per giovani, per i due terzi a carico dello Stato. Concertazione stabile. Stabilire poi una concertazione stabile fra istituzioni e non profit diventa poi fondamentale «per affrontare la crescita delle disuguaglianze originate dalla ineguale distribuzione delle conoscenze». Si tratta cioè di pensare a quelle «fasce di popolazione cui il mercato non da alcuna risposta né di formazione né di inserimento lavorativo». Si può cercare di ridurre i differenziali di accesso alla formazione, favorire il reinserimento al lavoro degli adulti fuoriusciti e inserire i soggetti più deboli in reti comunitarie di protezione sociale. Flessibilità Perché la flessibilità sia sostenibile occorre stabilire alcune tutele. Il Manifesto dei lavori prende in considerazione le «credenziali portatili». Quando i percorsi lavorativi si fanno molteplici e frammentati (è il caso dei lavoratori atipici come di chi lavora ?a partita Iva? o con collaborazione) cambiando più volte posto di lavoro, ruolo o mestiere, emerge la necessità di «ricomporre il percorso professionale in modo che le esperienze acquisite possano essere valorizzate nel ruolo o mestiere nuovo che si va a ricoprire o esercitare». Tanti lavori non corrispondono così a piccole esperienze, ma a un percorso articolato, a una «carriera trasversale, tante competenze acquisite che formano una figura capace di diversi lavori e che ?pesano? sul mercato del lavoro grazie a una certificazione da affidare agli attuali enti bilaterali o, in assenza di questi, all?amministrazione pubblica. Accade già in Francia e la Commissione Europea lo sta raccomandando da tempo. Diritti formativi. Altro ammortizzatore, il riconoscimento dei diritti formativi come nuovi diritti civici e di libertà. Se l?incertezza e il cambiamento non sono più l?eccezione ma la regola, dicono le Acli «è alquanto probabile che la tutela e la promozione delle persone che lavorano passerà attraverso la possibilità di frequentare una buona scuola, l?accesso alle tecnologie e l?opportunità di formazione continua per tutta la vita». Nel XXI secolo un diritto della persona, pena l?esclusione sociale che rischia di diventare abisso incolmabile: di futuro, di dignità della persona, di opportunità di vita. Una realtà che in Italia riguarda ad esempio quel 70% di lavoratori che oggi non ha opportunità di formazione e ai quali resta solo la via di una mobilità individuale. La leva fiscale. Come procedere? Con la leva fiscale: con detrazioni significative per tutti i cittadini, lavoratori e non, che investono in formazione, con voucher formativi per le categoria e reddito basso, detassando il Tfr usato a fini formativi e detassando le attività delle imprese.


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