Famiglia
Lavoro femminile, se la legge fa discriminazione
Il ministero del lavoro ha indicato come soggetti svantaggiati
Ha suscitato forte sconcerto la recente pubblicazione di un decreto del ministero del Lavoro che ha inquadrato come soggetti svantaggiati, ammessi nella categoria del contratto d?inserimento lavorativo, le donne? di tutte le regioni italiane.
Cosa è successo? L?art. 54 della legge Biagi (dlgs 276/2003) ha previsto un contratto diretto a realizzare l?inserimento o il reinserimento nel mercato del lavoro di alcune particolari categorie di persone, come i giovani, i disoccupati di lunga durata, i lavoratori ultracinquantenni senza lavoro, i disabili e, appunto, le donne, ma solo se residenti in un?area geografica in cui il tasso di occupazione femminile sia inferiore almeno il 20% di quello maschile (o in cui il tasso di disoccupazione femminile superi del 10% quello maschile).
Queste aree geografiche dovevano essere indicate con un decreto del ministro Maroni, firmato il 23 ottobre scorso. Il suo contenuto, come si accennava, ha suscitato critiche dall?opposizione e da chi si occupa di politiche per le pari opportunità. Secondo il ministero, le aree territoriali in cui poter stipulare i contratti di inserimento saranno, per gli anni 2004-2006, tutte le regioni italiane. Morale: «Da ora in poi, per le donne il contratto di inserimento può essere stipulato in tutto il territorio nazionale. Basta appartenere al genere per essere assunte con un contratto che non solo è di durata determinata (da 9 a 18 mesi), ma prevede anche il sottoinquadramento retributivo fino a due livelli», spiega la professoressa Donata Gottardi, docente di diritto del lavoro all?università di Verona.
«Mi pare una pericolosa deriva delle politiche occupazionali perché è vero che in Italia esiste un grave divario tra occupazione femminile e maschile, ma fino ad ora si sono utilizzati ?strumenti positivi? per incentivare il lavoro delle donne. Imboccare la strada della sottoretribuzione servirà pure a rispettare la strategia di Lisbona, e forse anche a rendere le donne più concorrenziali rispetto agli uomini nel mercato del lavoro, ma non certo a offrire un?opportunità di lavoro coerente con i principi costituzionali di parità e uguaglianza».
«La gravità del provvedimento è palese», rincara la dose Cesare Damiano, responsabile lavoro della segreteria nazionale Ds. «Non è possibile risolvere una difficoltà strutturale, come quella della disoccupazione femminile, provocando una nuova disuguaglianza. Chiediamo al governo e al ministro Maroni un chiarimento su questo decreto».
Potranno stipulare il contratto gli enti pubblici economici, le imprese e loro consorzi, associazioni professionali, socio-culturali, sportive, fondazioni, enti di ricerca pubblici e privati, organizzazioni e associazioni di categoria. Ci sarà un?escalation di questa forma contrattuale rispetto, ad esempio, a un più ?equo? contratto a termine? «Non è facile prevederlo», commenta la Gottardi. «è anche possibile che il timore di una futura, possibile sentenza di incostituzionalità possa far scemare l?entusiasmo dei datori di lavoro. Le donne, comunque, da ora rischiano di trovarsi di fronte a questo contratto ogni volta che vengono assunte, si tratti di nuovo ingresso nel mondo del lavoro, di reingresso, di mobilità da un posto di lavoro a un altro. Mi pare un fatto gravissimo».
Il punto
Il contratto di inserimento, previsto nella riforma Biagi, è aperto a particolari categorie svantaggiate, tra cui le donne residenti in alcune aree con bassi livelli di occupazione femminile.
Un recente decreto di Maroni ha però stabilito che tali aree sono tutte le regioni italiane. Ed è polemica.
Nessuno ti regala niente, noi sì
Hai letto questo articolo liberamente, senza essere bloccato dopo le prime righe. Ti è piaciuto? L’hai trovato interessante e utile? Gli articoli online di VITA sono in larga parte accessibili gratuitamente. Ci teniamo sia così per sempre, perché l’informazione è un diritto di tutti. E possiamo farlo grazie al supporto di chi si abbona.