Disabilità
Lavoro ergo sum: 25 storie per sfidare la legge 68
La Maratona Anffas 2025 è stata dedicata al tema del lavoro, con 25 testimonianze di persone con disabilità intellettiva, anche con alta intensità di sostegno. Roberto Speziale, presidente nazionale: «È arrivato il tempo in cui non bisogna più parlare di diritto al lavoro per le persone con disabilità, ma bisogna creare concrete chance per entrare nel mondo del lavoro vero»

Lavoro ergo sum: il diritto al lavoro per le persone con disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo è stato al centro della “Maratona Anffas”, che come ogni 28 marzo ha celebrato l’anniversario di fondazione dell’associazione (il 67esimo) e la XVIII Giornata nazionale sulle disabilità intellettive e disturbi del neurosviluppo. Venticinque le testimonianze portate da diversi territori, per affermare che, con il giusto supporto, le persone con disabilità possono ricoprire ruoli lavorativi significativi, dando il loro contributo attivo alla società. «È arrivato il tempo in cui non bisogna più parlare di diritto al lavoro per le persone con disabilità, ma bisogna fare, creare opportunità e occasioni per cui le persone possano avere concrete chance di entrare nel mondo del lavoro vero», afferma Roberto Speziale, presidente nazionale di Anffas.
Presidente, perché la scelta di questo tema?
Perché il lavoro è un diritto-dovere che deve essere garantito a tutti i cittadini, inclusi quelli con disabilità, ma, nonostante i progressi compiuti, il mondo del lavoro rimane per molti un obiettivo difficile da raggiungere, soprattutto per coloro che, a causa di pregiudizi e stereotipi, non vengono considerati come persone capaci di dare un contributo significativo alla vita sociale e professionale. Abbiamo avuto 25 testimonianze che hanno mostrato concretamente come, con i giusti sostegni, tutti possono lavorare e quanto questo cambi la vita delle persone anche in termini di cittadinanza e autoaffermazione. Abbiamo voluto segnare un punto di svolta e dire con chiarezza che, se adeguatamente sostenute, tutte le persone possono lavorare. Compito nostro è far vedere quali sono le modalità, i percorsi per rendere tutto ciò possibile.
La legge 68 ha più di 25 anni, cos’è che ancora non funziona?
La legge continua a mostrare le sue pecche. Specie per le persone con disabilità intellettiva, è poco o per nulla applicata. Le opportunità di lavoro che esistono nei territori nascono grazie a iniziative di famiglie e organizzazioni del Terzo settore, che si impegnano per “inventare” percorsi inediti e per creare opportunità di lavoro. Non è certo la legge 68 che oggi riesce a dare risposte alle persone con disabilità. Lo sa per esempio che una persona con disabilità che fa un tirocinio in azienda, magari anche di due anni, che impara a conoscere il contesto e il lavoro e l’azienda impara a conoscere lei… poi non può essere assunta?
Che senso ha?
Nessuno. Ma per legge la persona con disabilità non può essere assunta dalla stessa azienda in cui ha fatto tirocinio. Così spesso per le persone con disabilità l’ingresso nel mondo del lavoro è a porte girevoli, passano da un tirocinio all’altro ma restano sempre in tirocinio.
Che cosa invece fa concretamente la differenza?
Credere fortemente alle potenzialità delle persone con disabilità, che invece ancora troppo spesso vengono viste come persone che non possono lavorare. Le stesse persone che oggi hanno portato la loro testimonianza, sono state giudicate in questo modo. Scontiamo ancora un pregiudizio iniziale, per cui quando c’è una disabilitò ad alta complessità non c’è possibilità di svolgere una attività lavorativa produttiva. Il primo elemento da sconfiggere resta lo stigma. La prima cosa quindi è ascoltare la voglia delle persone con disabilità di essere cittadini attivi anche attraverso il lavoro: ce lo dicono loro, con una richiesta diretta. “Noi vogliamo lavorare perché ci sentiamo realizzati con il lavoro”. Poi c’è l’incontro – spesso è questo che segna la svolta – tra famiglie, associazioni, aziende sul territorio. È questo dialogo che crea occasioni e opportunità. Che possono essere molto diversificate, lo sappiamo: il mosaico di ceramica, la lavorazione della carta, il bar, il biscottificio, il ristorante… Pensando ad Anffas, per esempio, c’è la Frolleria di Anffas Mirandola che ha visto persone con disturbo dello spettro autistico diventare maestri paticceri o agli artigiani della lavorazione del mosaico di Anffas Pescara, con La Gabbianella, che stanno arrendando i parchi della città.
Da pochi mesi Anffas ha stretto un accordo con il Consiglio Nazionale dell’Ordine dei Consulenti del Lavoro e proprio in questi giorni ha avviato con la loro Fondazione un’indagine sull’inclusione lavorativa: perché?
Si tratta di un protocollo importate perché con loro riusciamo a dialogare meglio con il mondo delle imprese, che hanno giustamente bisogno di un giusto accompagnamento e formazione. Sia l’indagine sia il protocollo sono anche strumenti per approfondire lo studio di tutti gli elementi che ci permetterebbero di migliorare la legge 68 e di farla diventare finalmente una legge che dà opportunità vere di lavoro e non si limita ad essere un elenco di 930mila persone iscritte al collocamento mirato, che lì restano. C’è bisogno di cambiare le norme e di fare in modo che i primi ad adempiere agli obblighi assuntivi siano le Pubbliche amministrazioni.
Scotta ancora l’uscita di Trump che ha puntato il dito contro l’inclusione lavorativa?
La prima barriere è ancora lo stigma culturale, lo ripeto: le aziende preferiscono già pagare le multe, Trump o non Trump. Non colpevolizzo le aziende, che chiaramente hanno bisogno di un giusto accompagnamento. È vero che la persona con disabilità ha bisogno di tempi e condizioni perché sia a tutti gli effetti una risorsa ed è proprio rafforzando la relazione fra Terzo settore e consulenti del lavoro che questo può accadere. Oggi manca un sistema integrato che faccia il giusto matching tra domanda e offerta. “La persona giusta al posto giusto”: è questa la sfida. Chiaro che se mettiamo delle persone a svolgere attività lavorative non congeniali a loro e alle loro caratteristiche, creiamo problemi sia al lavoratore sia all’azienda.
Avete scelto per titolo della giornata “Lavoro ergo sum”. Capisco l’istanza di valorizzare le esperienze di successo, per mostrare che “si può fare”. Ma poi non c’è sempre il rischio di non rappresentare chi non ce la fa a lavorare, ad essere autonomo… Quelli “non sunt”?
Intanto hanno portato la loro testimonianza anche persone con elevati bisogni di sostegno, che lavorano. Io sono convinto che la stragrande maggioranza delle persone con disabilità, anche intellettive e anche ad alta intensità di sostegno, opportunamente sostenute possono lavorare. Ovviamente “lavoro” non è qualcosa di monolitico, non significa per tutti 8 ore al giorno, per cinque giorni alla settimana: magari sarà un part time, ma comunque è un’attività che concorre all’affermazione della persona. Certamente esistono anche persone – non sono poche ma nemmeno la maggioranza – che questa possibilità non ce l’hanno o a cui in un certo momento della vita non interessa. Il tema è che tutti quelli che possono e che desiderano lavorare, hanno diritto di farlo.
17 centesimi al giorno sono troppi?
Poco più di un euro a settimana, un caffè al bar o forse meno. 60 euro l’anno per tutti i contenuti di VITA, gli articoli online senza pubblicità, i magazine, le newsletter, i podcast, le infografiche e i libri digitali. Ma soprattutto per aiutarci a raccontare il sociale con sempre maggiore forza e incisività.