Non profit

Lavoro e Welfare: divorzio pericoloso

Per il mondo del volontariato e del non profit italiano il primo banco di prova per il nuovo governo, non c’è dubbio, saranno le scelte sul ministero del Lavoro e del Welfare.

di Riccardo Bonacina

Per il mondo del volontariato e del non profit italiano il primo banco di prova per il nuovo governo, non c?è dubbio, saranno le scelte sul ministero del Lavoro e del Welfare. A partire dall?infelice scelta (stando alle anticipazioni), di ?spacchettare? il ministero del Welfare da quello del Lavoro. Una cattiva scelta per almeno due ragioni. La prima è che il ritorno alla divisione tra ministero del Lavoro e quello delle Politiche sociali contraddice innanzitutto una delle ?buone riforme? del primo governo Prodi, la legge 59/97 (la cosiddetta legge Bassanini) che per la prima volta dai tempi di Cavour riorganizzò la struttura di governo riducendo le inefficienze, gli enti inutili ed anche il numero dei ministeri: 12 invece di 20 o 22. La seconda è che lo ?spacchettamento? ripiomberebbe le Politiche sociali nella marginalità di un ministero senza portafoglio e buono per candidati di basso profilo. È impressionante il fuoco di fila che in questi giorni si è alzato dal terzo settore su questa partita. Dalle Acli, il neo presidente Andrea Olivero dice che «il Welfare è un ministero strategico non solo per la solidarietà ma anche per lo sviluppo del paese». E la presidente dell?Auser, Maria Guidotti, ribadisce: «Le due competenze, Lavoro e Welfare devono restare insieme perché lo sviluppo non è solo questione di prodotto interno lordo». Ed è proprio questo il punto: è mai possibile che non si sia ancora capito come oggi le politiche del lavoro e quelle del welfare debbano andare insieme e di pari passo? A piazza dei Santi Apostoli, sede dell?Unione, non hanno mai sentito parlare di workfare? Cioè politiche di welfare che tengono assieme le politiche attive del lavoro con quelle di sviluppo territoriale, politiche di welfare che sappiano coniugare le esigenze dello sviluppo con quelle delle comunità? Che senso avrebbe allora ?spacchettare? il ministero se non quello di una bassa cucina politica, o peggio partitocratica? «I nomi dei futuri ministri che circolano, in parte veri e in parte inventati, dimostrerebbero che la cerchia della compagine governativa sarebbe così stretta da far cumulare in poche mani le cariche di parlamentari, segretari di partiti e ministri», ha scritto monsignor Vinicio Albanesi, tra i fondatori della Comunità di Capodarco, in una lettera aperta al futuro premier Romano Prodi. «Ci rendiamo conto delle difficoltà», chiude Albanesi, «ma non possiamo assistere, oramai sudditi impotenti, alla nomenclatura che emerge. Riguardo al ministero del Welfare: che la sua rappresentanza non sia di terza fila. Ricadremmo nella filosofia delle povertà vergognose, con dipartimenti senza portafoglio…». È un bel segno che le voci del terzo settore si siano levate così all?unisono per parlare al futuro premier, condividendo pensieri che in questi anni sono, evidentemente, cresciuti in consapevolezza e condivisione.


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