Volontariato

Lavoro e riciclo con un cassonetto

La raccolta Caritas

di Redazione

Diffidate dalle imitazioni (che purtroppo non sono così infrequenti). Il cassonetto della Caritas Ambrosiana è giallo, autorizzato, certificato, ha un logo ben riconoscibile ed è garanzia di un percorso virtuoso che intreccia ecologia, sostenibilità e imprenditorialità sociale. Una miscela importante della quale, giustamente, Carmine Guanci, presidente della cooperativa sociale Vesti solidale, è orgoglioso. Lo si capisce ascoltandolo raccontare il progetto “Cambia stagione. Dai vita al tuo usato”. «Nelle province di Milano, Varese e Lecco, in tutto circa 5 milioni di abitanti», spiega Guanci, «da più di dieci anni abbiamo attivato questa iniziativa che, recuperando gli abiti usati, consente di realizzare inserimenti lavorativi e di finanziare progetti sociali della Diocesi». Come se non bastasse, «non c’è alcun onere per la collettività, visto che l’azione di recupero è svolta gratuitamente e consente di salvare dalla discarica rifiuti che altrimenti darebbero origine a un costo». Per dire, ogni tonnellata di materiale indifferenziato rappresenta, per le amministrazioni, una spesa di cento euro. Fate voi il conto, considerando che “Cambia stagione” nel solo 2010 ha raccolto circa 530 container, ovvero 8mila tonnellate, tramite 1.361 cassonetti “curati” da sette cooperative sociali (che fanno tutte riferimento alla Caritas ambrosiana: oltre a Vesti solidale, Città e salute, Ezio, Spazio Aaperto, Padre Daniele Badiali, Abad e Di mano in mano solidale).
Oltre al risparmio però c’è il beneficio doppio. Da una parte, trovano un’occasione lavorativa oltre 50 persone che appartengono a fasce deboli; dall’altra si registra una molteplice e positiva ricaduta sul territorio: «Una piccola parte degli abiti che recuperiamo dai cassonetti, circa il 10%, è destinato agli indigenti della Diocesi. La grande rimanenza, una volta venduta, produce un ricavato che serve a pagare i costi del personale impiegato e, da oltre dieci anni, a sostenere opere di utilità sociale della Caritas». Nel 2009, per esempio, sono stati finanziati, con un importo complessivo di 90mila euro, diversi progetti tra cui uno per disabili (il centro diurno Arconauta), un altro per emarginati (il centro di prossimità Lo stanzino) e un servizio destinato a rifugiati (di pronta accoglienza, a Varese). I ricavi del 2010 (arrivati, a fine agosto, a quota 135mila euro) sono egualmente serviti a sostenere altre iniziative.
La filiera dei rifiuti adottata dalla Caritas, del resto, è molto chiara. Anzitutto vengono posizionati i cassonetti certificati (che sono stati progettati da Vesti solidale e sono realizzati da un’altra cooperativa sociale, Poliart, che così dà lavoro ad alcuni detenuti). Con una cadenza predeterminata, si effettua poi la raccolta (realizzata solo da persone autorizzate) e il trasporto degli abiti in un luogo di stoccaggio temporaneo.
Da qui, quelli che sono ancora rifiuti tessili vengono inviati alle società convenzionate per la selezione e il trattamento. «Abbiamo scelto con cura queste società e siglato con loro dei contratti etici», prosegue Guanci, «vincolando queste aziende al rispetto della normativa del lavoro, in Italia ma anche nei Paesi esteri dove hanno gli impianti di trattamento. In questo modo non è possibile né lo sfruttamento della manodopera né alcuna forma di lavoro minorile». Dagli impianti di queste aziende, i vestiti non più rifiuti, trattati e catalogati in 40 tipologie diverse, vengono immessi nuovamente sul mercato. In parte finiranno su banchi italiani, in parte prenderanno la strada per il Maghreb, l’Africa, l’Est Europa e l’Estremo Oriente.


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