Welfare

Lavoro e formazione, i punti deboli

Ancora poco sfruttati i poteri in materia di accompagnamento all’occupazione delle fasce deboli

di Redazione

La ricerca dell?Isfol sui Piani di zona mette in luce sia i punti di forza che i limiti del ruolo delle Province nell?ambito del welfare locale. «Il monitoraggio», spiega Antonello Scialdone, dirigente dell?area Politiche sociali e pari opportunità dell?Isfol, «segnala che nel campo dell?integrazione tra interventi sociali e servizi decentrati per il lavoro, il miglioramento qualitativo collegato ai Piani di zona pare meno significativo di quello riferibile all?area sanitaria, in particolare nella percezione degli intervistati del territorio meridionale».

Mentre, dunque, i Comuni e le Asl (che sottoscrivono i Piani di zona) riescono, pur tra mille diffidenze e incomprensioni, a lavorare insieme, non accade altrettanto con le Province. Una conferma, insomma, dei limiti storici dell?azione delle Province. Quest?ultime, infatti, faticano a realizzare interventi comuni con gli ambiti sociali di zona proprio in quei settori che rientrano nella loro competenza come i processi di accompagnamento al lavoro delle fasce deboli (ad esempio i disabili) e i servizi per l?impiego.

Lavoro, ma anche istruzione e formazione professionale: tre leve importanti per risollevare le sorti delle politiche attive di welfare. Grazie a queste tre competenze, infatti, le Province potrebbero giocare un ruolo importante nella definizione e offerta di percorsi in grado di integrare gli interventi sociali dei Comuni.

Questi ultimi, infatti, il più delle volte sono sbilanciati sulla gestione delle emergenze o dell?assistenza alle categorie storiche dei soggetti deboli (minori, poveri e anziani) piuttosto che delle donne, immigrati, disabili e disoccupati.

La sfida, insomma, è valorizzare i poteri a disposizione e le esperienze acquisite con la gestione della 285 del 1997 sugli interventi per i minori: fare da collante e da pungolo alla collaborazione degli attori sociali locali. È con la 285, infatti, che si fa strada l?idea, poi sviluppata nella 328 del 2000, della coprogettazione fra più Comuni e fra le municipalità e gli attori sociali del territorio. Sotto la guida delle Province.

Un contributo, forse, accantonato troppo presto e che torna a far capolino nella legislazione di alcune Regioni (ultima la Campania) che ora assegnano alle Province un ruolo più marcato nel coordinamento e nella definizione dei Piani di zona. L?esperienza di questi anni insegna, infatti, che i Comuni, a causa della scarsa abitudine a cooperare (dovuta magari anche ai campanilismi o solo alla pigrizia) fanno fatica a sedere insieme intorno allo stesso tavolo dei Piani di zona.(F.D.)

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