Famiglia

Lavoro di squadra contro il bullismo

Solo la collaborazione tra istituzioni, famiglie, scuola può portare a vincere la sfida, di Daniele Biella e Piero Pacchioli Lavorando sul territorio

di Daniele Biella

«La famiglia è debole e l?istituzione scolastica da sola non ce la fa». L?appello della Sip – Società italiana di pediatria che recentemente ha pubblicato i dati dell?Osservatorio adolescenti sul bullismo, è chiaro: serve un costante lavoro di squadra tra tutti i soggetti interessati nel processo educativo e di crescita dei ragazzi. «Non serve delegare, né alle sole famiglie né esclusivamente alla scuola», dicono alla Sip.

Tutti i giorni, da qualche mese, televisioni e giornali raccontano nuovi episodi. Il numero verde Smonta il bullo (800.669696), attivato a febbraio dal ministero della Pubblica istruzione, ha ricevuto nelle prime ventiquattr?ore ben 1.150 chiamate e si mantiene oggi sulle 150 al giorno. Chiamano studenti per segnalare casi, ma anche insegnanti e genitori per capirci di più.

« È segno di un grande bisogno di informazione», dice Giovanna Boda, referente del numero verde e coordinatrice della Commissione nazionale sul bullismo, istituita anch?essa a febbraio. «Il numero ha la funzione di raccordo, perché i casi vengono poi trattati nei vari osservatori presso gli Uffici scolastici regionali», continua Boda, «perché è solo sul territorio che possono essere risolti, nessun intervento calato dall?alto può funzionare».

Negli osservatori le istituzioni sono aiutate dall?associazionismo, che diventa così un riferimento nella lotta antibullo. Ad oggi, gli enti che si occupano esclusivamente di bullismo si contano sulle dita di una mano (vedi box), ma molti altri inquadrano il fenomeno in ambiti più ampi, lavorando ad esempio su relazioni tra pari e gestione dei conflitti, affettività ed educazione alla legalità.

Non generalizzare

«Il bullismo è un fenomeno in crescita», spiega Maria Beatrice Toro, direttore scientifico della Fondazione movimento bambino. «Occhio però a non confonderlo con il teppismo e il vandalismo, dove l?oggetto della rabbia e della violenza non è il coetaneo, ma l?esterno, il mondo adulto, l?istituzione», continua Toro, alla quale si affianca Daniele Novara, direttore del Centro psicopedagogico per la pace di Piacenza e autore del libro I bulli non sanno litigare (Carocci, 2007). «Non basta compiere gesti prepotenti e violenti per diventare un bullo», dice Novara. «È bullo, invece, chi prevarica un suo coetaneo con atti di violenza fisica e verbale premeditati, con lo scopo preciso di sminuire l?altro».

Non tutto ciò che accade dentro e fuori da scuola quindi è bullismo. «Generalizzare porta fuori strada e provoca apprensioni esagerate», dice Novara. L?edificio scolastico rimane comunque il luogo dove tutto nasce. «È il luogo dell?incontro con le regole sociali, con il confronto interpersonale, sia tra pari che con un?autorità, quella degli insegnanti, che accompagnerà il soggetto in formazione per diversi anni e ne segnerà il cammino», afferma Toro. «A scuola nascono le tipiche dinamiche del gruppo, sia quelle di segno positivo che negativo», continua il direttore di Fondazione movimento bambino, «qui si possono manifestare diverse difficoltà: estrema competizione, gelosie, tensioni, prepotenze, prevaricazioni, fino alla violenza agita dal branco e subita dal singolo».

Ma come reagiscono i ragazzi? Secondo una recente ricerca della Provincia di Brescia, condotta su un campione rappresentativo di scuole, risulta che le vittime dichiarano di reagire alle prepotenze subite principalmente chiedendo aiuto ai compagni (30%) o difendendosi da soli aggredendo il bullo (25%). Solo pochi chiedono aiuto agli adulti, siano essi i genitori (15%) o l?insegnante (13%) e 13 su cento dichiarano invece di reagire soltanto piangendo. I modi per difendersi da atti di prevaricazione non sono tutti uguali: i maschi rispondono con l?aggressione (33%) mentre le femmine riferiscono tutto ai genitori (18%) o agli insegnanti (14%). Anche le violenze non sono tutte uguali: mentre i maschi sono più aggressivi le ragazze tendono a fare un vero e proprio mobbing, isolando e prendendo in giro la vittima sotto il profilo psicologico.

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