Non profit

Lavorare per il non profit: nuove regole

Come instaurare rapporti di lavoro con i propri soci? Il dilemma delle associazioni di promozione sociale rimane anche dopo la legge sul socio lavoratore

di Giulio D'Imperio

Una struttura può instaurare un rapporto di lavoro subordinato o di collaborazione con i propri soci e personale esterno alla struttura. L’esperto di diritto del Lavoro di Vita, Giulio D’Imperio, spiega come.

Uno dei grossi problemi che fino a oggi ha attanagliato le strutture del terzo settore è stata la possibilità di instaurare rapporti di lavoro subordinato o di collaborazione con personale interno ed esterno alla struttura. Spesso le strutture non profit, per cercare di risparmiare sul costo del personale sono più propense a porre in essere rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, proprio perché sia gli importi contributivi sia la retribuzione da elargire al lavoratore esulano dai rigidi canoni previsti per i lavoratori subordinati. Non sempre queste scelte si rilevano ottimali in quanto nascondono insidie tali da sottoporre le strutture non profit, soprattutto quelle di carattere cooperativistico, di fronte a situazioni che finiscono con il mettere a rischio la loro sopravvivenza a seguito di esosi verbali di contravvenzione redatti in sede ispettiva. D’altro canto la L. 383/00 (Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2000 n.300), ha chiarito alcuni aspetti.

Il rapporto di lavoro all’interno di un’associazione di promozione sociale
Per parlare di “Associazione di promozione sociale”, occorre chiarire cosa si intende in base alla definizione riportata al primo comma dell’articolo 2 della L. 383/00: “sono considerate associazioni di promozione sociale le associazioni riconosciute e non riconosciute, i movimenti, i gruppi e i loro coordinamenti o federazioni costituiti al fine di svolgere attività di utilità sociale a favore di associati o di terzi, senza finalità di lucro e nel pieno rispetto della libertà e dignità degli associati”.
Non rientrano tra tali strutture quelle riportate sia al comma 2 sia al comma 3 della L. 383/00, come: i partiti politici, le organizzazioni sindacali, le associazioni dei datori di lavoro, le associazioni professionali e di categoria, quelle che hanno come finalità la tutela esclusiva di interessi economici degli associati e i circoli privati.

Quali sono i meriti di questa legge in merito al rapporto di lavoro?
Il primo è senza dubbio identificabile nell’articolo 18, dove in modo chiaro si afferma che pur se le associazioni di promozione sociale devono istituzionalmente avvalersi dell’opera di volontariato svolte dai propri associati, possono avvalersi delle prestazioni lavorative, anche dei propri associati, sia in forma autonoma sia dipendente. È comunque stato esplicitamente chiarito che non sempre è possibile ricorrere a tale opportunità, ma solo quando si verificano situazioni di particolare necessità. Occorre riconoscere che questa norma è carente sia nel definire quali debbano essere le situazioni che devono essere definite di particolare necessità, sia nel definire il confine preciso tra la prestazione che il socio può svolgere sotto forma di volontariato, sia quella che il socio dell’associazione può svolgere come lavoratore dipendente od autonomo.
Pertanto fino a quando non ci saranno delucidazioni in merito, ritengo che potrebbe essere molto rischioso avvalersi di prestazioni di lavoro gratuito sotto forma di volontariato da parte dei soci, perché in fase ispettiva potrebbe causare equivoci che rischierebbero di trasformare tali prestazioni in prestazioni onerose e quindi di lavoratore subordinato, con gravissime ripercussioni per la vita della struttura. Certamente la norma prevede la possibilità di instaurare un rapporto di collaborazione coordinata e continuativa, che va inquadrata più come prestazione di lavoro subordinato che autonomo, visto l’esito del collegato fiscale.
Importantissimo, per la sua chiarezza è l’articolo 19 della L. 383/2000, che offre all’associato volontario di poter usufruire del diritto a svolgere prestazioni di lavoro flessibile nell’azienda dove è assunto Ritengo che il contratto di lavoro maggiormente indicato è quello di job sharing, proprio perché offre all’azienda la garanzia che il posto di lavoro è sempre e comunque coperto.

Il lavoro in cooperative sociali
Per quanto attiene invece le cooperative sociali gli errori che spesso sono posti in essere riguardano i rapporti di collaborazione coordinata e continuativa con i propri soci. Quasi sempre a seguito di visite ispettive tali contratti sono stati, fino a ora, trasformati in rapporti di lavoro a tempo indeterminato, con notevoli ripercussioni sotto l’aspetto economico per la struttura. L’approvazione definitiva del disegno di legge n.7570 sul socio di cooperativa, approvato dal Senato in data 24 gennaio 2001 e dalla Camera in data 7 marzo 2001, ha finalmente stabilito che un socio lavoratore di una cooperativa può decidere di intraprendere con la struttura cooperativistica un rapporto di lavoro di lavoro dipendente, autonomo o di collaborazione coordinata e continuativa.
Quest’ultima formula contrattuale fino ad ora era possibile instaurarla con un socio di cooperativa rispettando gli stessi canoni previsti dalla lettera circolare prot. N.5/25212/90/appr. del 22 gennaio 2001 emanata dal Ministero del Lavoro e della previdenza sociale circa la possibilità di instaurare contratti di apprendistato con soci di cooperativa. In tale documento è stato chiarito che è possibile porre in essere contratti di apprendistato con soci di cooperativa solo quando “il socio è chiamato a svolgere prestazioni difformi dall’oggetto sociale”.

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