Non profit

Lavorare nel sociale per riavere la patente

Gli "sconti" a chi guida in stato di ebbrezza

di Francesco Dente

L’articolo 187 del Codice della strada, che tratta della guida sotto l’influenza dell’alcol e che è stato riscritto dalla recente riforma, permette di commutare la pena detentiva e pecuniaria con il lavoro di pubblica utilità non retribuito, da prestare soprattutto nel campo della sicurezza e dell’educazione stradale, presso lo Stato, le Regioni, le Province, i Comuni, gli enti di assistenza sociale e le organizzazioni di volontariato o, infine, presso i centri specializzati di lotta alle dipendenze. Come funziona? E come la vedono le associazioni?Scommessa sulla prevenzione o pietra tombale sulle stragi del sabato sera? Strumento riparatorio o stratagemma per salvare l’auto? Non sono pochi gli interrogativi che ruotano intorno all’articolo 187 – guida sotto l’influenza dell’alcol – riscritto dalla recente riforma del Codice della strada. Condizione di partenza è che il conducente “beccato” con un tasso alcolemico oltre il consentito (superiore agli 0,8 grammi per litro) non abbia causato un incidente. Il giudice, se il lavoro a favore della collettività ha avuto buon esito, dichiarerà estinto il reato, dimezzerà la sospensione della patente e, questa la novità più significativa introdotta, revocherà la confisca del veicolo sequestrato. Uno sconto niente male.
Le associazioni che si occupano di sicurezza stradale vedono di buon occhio i lavori nel sociale ma non nascondono le perplessità sugli abbuoni. «È una norma innovativa che salutiamo con interesse: vogliamo vedere però come sarà applicata. Questa novità ci mette un po’ d’ansia. Con l’accesso alle misure alternative infatti si potrà mettere in salvo la macchina, o il macchinone, dalla confisca», fa notare Giordano Biserni, presidente di Asaps – Associazione sostenitori e amici della polizia stradale. Il timore di un uso strumentale dell’attività svolta nel non profit è condiviso da Giuseppa Cassaniti Mastrojeni dell’Associazione italiana familiari e vittime della strada. «Siamo alla follia! In Italia il sistema penale è fondato sul rispetto dei diritti degli imputati anziché delle vittime», tuona. «Sia ben chiaro», argomenta la presidente dell’Aifvs, «non siamo contrari a scontare la condanna nel sociale purché non finisca per ingolfare inutilmente l’attività dei tribunali e a condizione, soprattutto, che ci sia proporzione fra il lavoro di pubblica utilità svolto e le punizioni inflitte. È esagerato, ad esempio, prevedere che 250 euro di pena pecuniaria corrispondano a un giorno di lavoro per la collettività».
Roberto Merli dell’Aifvs di Brescia non ritiene invece sia una scappatoia per i furbi. «I condannati si terranno la condanna senza fare i lavori utili: tanto in carcere non ci vanno». Decisamente a favore delle misure sostitutive è Andrea Dan dell’Associazione “Manuela per la sicurezza stradale” di Treviso. «La pena alternativa è il modo migliore per fare prevenzione. Bisogna mettere a contatto il reo con la vittima perché capisca cosa significa, ad esempio, restare disabili. Ben venga l’impiego nei reparti di traumatologia dove possono vedere le conseguenze degli incidenti», gli fa eco Biserni dell’Asaps. Il papà della piccola Manuela, morta a sei anni in un incidente, ritiene invece che i lavori di pubblica utilità debbano essere svolti solo presso gli enti pubblici. «Chi controlla nel non profit che siano svolti davvero? Meglio che i rei affianchino i vigili o che facciano assistenza all’uscita delle scuole». Il vero punto debole della riforma, sottolinea Dan, è tuttavia un altro: «Un conto è far volontariato per scelta, un conto per imposizione o per convenienza». E i furbetti interessati a salvare l’auto con qualche settimana nel volontariato potrebbero essere non pochi. Secondo stime dell’Asaps le sanzioni per guida in stato di ebbrezza si aggirano sulle 40mila all’anno. Ai fini del computo della pena, in base al decreto 274/2000, un giorno di lavoro di pubblica utilità consiste nella prestazione, anche non continuativa, di due ore di lavoro. Troppa grazia?

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