Non profit

Lavorare nel non profit. E’ davvero un sogno?

L'opinione di Riccardo Bonacina

di Redazione

Saluto tutta la redazione e in particolare Marco Revelli. La mia storia nell’universo non profit è iniziata da poco e voi siete stati una fonte preziosa per capire come stanno le cose, ma si sa tra teoria e pratica ce ne passa. Ho terminato poche settimane fa un corso organizzato da Risorsa Donna (fondazione nascente a Roma) per la formazione di manager nel settore non profit. Durante i sei mesi ho affrontato vari aspetti comunicazione, management, fundraising, bilancio sociale, web marketing, insomma, tutto ciò che ci riguarda. Alla fine ho presentato un progetto per la creazione di un centro formazione e servizi mirato alla utenza immigrata (gestione delle pratiche burocratiche per l’apertura di un’esercizio commerciale, consulenza legale servizi assistenziali, ecc), ma non sento di avere acquisito una reale professionalità da spendere lavorativamente, però vorrei continuare e provare ad inserirmi in qualche associazione specializzandomi nell’area progettazione e fundraising che mi interessano particolarmente. Ho visto che ci sono molti corsi che riportati sul vostro settimanale e portale, ma come fare a decidere tra i tanti, sopratutto privati, che voglio anche discrete cifre di denaro? Voi cosa mi suggerite di fare dal momento che sono laureata in lettere ho trent’anni e, solo ora, ho trovato un mondo lavorativo in cui sento rappresentati i miei interessi ed ideali personali ma anche sociali. Che percorso in questa fase di start-up (per così dire) mi suggerireste? Occorre veramente specializzarsi così tanto o è meglio iniziare a lavorare, magari fare del buon volontariato dal momento che, mi sembra, le organizzazioni più che di esperti abbiano bisogno di fondi e di risparmiare.
Maria Francesca Garofalo, Roma

Mi sono laureata lo scorso novembre in Lingue e Letterature orientali con una tesi sulla pena di morte in Giappone, vi ho lavorato con molta passione e per molto tempo. La mia passione per la tematica e la mia predisposizione personale per il diritto alla vita, i diritti umani e sociali, l’interesse per la persona mi hanno portato sempre più ad allontanarmi dal mio percorso formativo, tradizionalmente finalizzato all’interpretariato aziendale, per i quali non mi sento affatto portata. Mi sono iscritta al Corso di perfezionamento in Diritti della persona e dei popoli promosso dall’università di Padova, l’Unesco e la Regione Veneto. Morale? Tra qualche giorno il mio corso finirà, io mi sono allontanata ancora di più dal Giappone, avvicinata e sensibilizzata ancor di più al mondo dei diritti umani, e ora il passo difficile: quale futuro per me? Quale futuro per una sognatrice, pacifista, affascinata dalle culture più diverse e votata al rapporto con gli altri se non riesco a trovare un’organizzazione non profit interessata a me?
Mi rendo conto che la forza del terzo settore è il volontariato, ma c’è anche il desiderio di poter far combaciare una scelta di vita con la scelta del proprio lavoro, e questo sembra che alle associazioni da me contattate non interessi, come poco interessante sembra essere la formazione a mezzo stage o tirocinio che pensavo avrei potuto fare in tutte quelle organizzazioni che non si sono prese la briga nemmeno di rispondermi. A questo punto che cosa devo fare?
Elena Rubin, Padova

Risponde Riccardo Bonacina.
Le lettere di Maria Francesca ed Elena sono solo due tra le tante che riceviamo da giovani, ma anche da meno giovani, in cerca di una collocazione professionale nel non profit. Si tratta di un fenomeno in aumento e l’indicatore sono proprio le vostre lettere ed e mail. è un buon segno il fatto che siano in molti a cercare percorsi professionali capaci di coniugare la necessità di un lavoro e di un guadagno almeno non in contraddizione con la propria idealità e con il desiderio di una società più giusta. Significa che sta cambiando la stessa percezione individuale dell’idea di profitto. Oggi più di qualche anno fa il profitto non coincide più semplicemente con l’accumulazione di denaro e di guadagni, e l’idea di benessere, in ampi strati della popolazione italiana non coincide più con il fitness. Si è fatta via via sempre più strada l’idea che sia profittevole prestare attenzioni ai propri bisogni e a quelli altrui perché solo così la trama di una società diversa prende corpo, si è fatta strada l’idea che non tutti i soldi e i guadagni sono uguali e che si può investire in maniera più o meno etica, che anche il proprio lavoro può servire a sviluppare socialità e giustizia. Tutto questo è un bene enorme e questa coscienza si è fatta strada perché sempre di più i valori a cui si aspira hanno preso la forma di fatti concreti. I valori se restano aspirazioni sono inutili, ma per fortuna l’economia civile e le opere della responsabilità dei cittadini sono cresciute in questi anni, l’Istat proprio la scorsa settimana ha stimato per il non profit italiano un fatturato superiore ai 70 mila miliardi e l’impiego di oltre 600 mila persone.
Ci sono però delle difficoltà, come testimoniano anche le due lettere che pubblichiamo. E anche questo è un bene, se possiamo dire così. O perlomeno non è un male. Perché è positivo il fatto che il Terzo settore mantenga una sua specificità, che il valore della solidarietà, anche dentro le vere e proprie aziende sempre più numerose nel non profit. È in qualche modo giusto che la motivazione e le aspirazioni vengano messe alla prova dei fatti e della realtà concreta. Noi, come settimanale, possiamo accompagnare questi itinerari che spesso sono percorsi individuali e privati, con delle buone e puntuali informazioni ed anche qualche spunto formativo. Certamente il non profit, per crescere e creare anche nuova occupazione, ha bisogno di figure che si specializzino e che mettano a disposizione la loro preparazione manageriale. Oggi si vive in una situazione di passaggio: per questo tanti che vorrebbero giocarsi professionalmente nel Terzo settore incontrano spesso difficoltà.

La velocità,un mito da globalizzati
Inquieta il silenzio calato sulla maggior causa di incidenti stradali e quindi delle vittime che determina; questa causa, lo sanno tutti, è la velocità, ormai occorre urlarlo, dirlo è chiaramente insufficiente. “Assolvere” la velocità come causa primaria dell’incidentalità, significa assumersi la paternità politica e morale di una strage quotidiana. Sul banco degli imputati invece vengono sempre poste le infrastrutture, le curve o le poche alberature superstiti sui bordi delle strade e questo messaggio non fa altro che incentivare l’aumento di velocità anche su strade urbane ed extra urbane, aumentando in maniera esponenziale la gravità degli effetti indotti da altre cause, quali distrazione o mancata manutenzione delle sedi stradali, per le quali solo una minima ed insufficiente quota, delle migliaia di miliardi riservata alle nuove realizzazioni, viene ad esse destinata.
Non contrastare la velocità, equivale drammaticamente alla condivisione di un modello di società al quale i Verdi, e vorremmo che lo fosse chiaramente tutta la sinistra, sono antagonisti. Ed è anche questa una faccia della globalizzazione, di uno standardizzato modo di lavorare e divertirsi che ci fa correre da un posto all’altro,
Alfredo Vigarani,
Bologna

Sono impiegata presso una Amministrazione Pubblica, mio marito è impiegato presso un’azienda farmaceutica, abbiamo due figli sistemati, e dedico il mio tempo libero con amore e devozione al volontariato. Mi occupo delle famiglie in difficoltà, vado elemosinando nei supermercati per portare il necessario a famiglie in difficoltà economiche, che non hanno soldi necessari per fare la spesa. Ma la cosa che mi angoscia di più è l’indifferenza della gente, qui a Pescara. Anch’io sono alla ricerca di un aiuto: vorrei poter conoscere e collaborare con un’associazione che si occupa di aiutare famiglie che sono alla ricerca disperata di un posto di lavoro. Il mio più grande desiderio è quello di poter avere un rapporto di collaborazione con aziende disposte ad offrire lavoro a chi ne ha veramente bisogno. Perché non c’è niente di più prezioso al mondo di un cuore disposto a donare.
M. Caterina Macciocca, Pescara

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