Welfare

Lavorare dentro per restare fuori

Carcere. Il caso della cooperativa Giotto: così si abbatte la recidività

di Davide Nordio

Mentre lo tsunami della ex Cirielli promette di spazzar via quello che resta di un sistema penitenziario che fa acqua da tutte le parti, in pochi angoli d?Italia sopravvivono esperienze che, per fortuna, vanno nella direzione giusta. Piccole dighe, costruite dal basso mattone dopo mattone. «La nostra è una bella realtà, ma non rappresentativa degli istituti italiani», così si presenta Nicola Boscoletto, presidente della Cooperativa Giotto, che nella casa di reclusione di Padova è riuscito a mettere intorno allo stesso tavolo enti locali, Asl, diocesi, imprese, volontariato, direzione, agenti, magistratura di sorveglianza e detenuti con l?obiettivo condiviso di offrire una professione a chi vive dietro le sbarre. Risultato? Fra gli ex carcerati che hanno lavorato per la Giotto, il tasso di recidiva crolla al 15%, a fronte di un dato nazionale vicino all?80%. A guadagnarvi, però, non è solo la sicurezza della collettività, ma anche il portafoglio. I conti sono presto fatti. All?erario ognuno dei 60mila detenuti costa 250 euro al giorno per 365 giorni. In totale fanno 5 miliardi e 475 milioni di euro l?anno. Una spesa abnorme a fronte della quale ogni punto percentuale di recidiva in meno produce un risparmio di oltre 54 milioni di euro l?anno. «Non sono più un peso» Il passepartout del progetto padovano si chiama Rebus, il nome che la Giotto ha assegnato al network di cooperative sociali attive nell?istituto e che recentemente ha ricevuto perfino il plauso ufficiale del Quirinale. Marino è uno dei 400 ospiti del Due Palazzi che sono passati sotto le grinfie di Boscoletto. «Lavorare significa ricominciare a vivere», dice Marino, che sul foglio matricolare ha scritto ?Fine pena: mai?, «vuol dire essere un aiuto e non un peso per la famiglia, perché la paga che prendi la mandi a loro. Dopo otto anni di ozio forzato, sono tornato vivo. Ed è bello poter pensare che stai aiutando i tuoi figli». Marino è impiegato presso il laboratorio artigianale che fabbrica manichini in cartapesta, assai apprezzati dal settore moda. Altri suoi compagni assemblano valige, rispondono al call center, realizzano i prodotti celebrativi ufficiali per i 700 anni della Cappella degli Scrovegni, altri ancora impastano dolci, destinati a ristoranti e pasticcerie. La città apre gli occhi Sotto la regia di Boscoletto, «istituzioni carcerarie, enti pubblici, aziende e privato sociale fanno ognuno la sua parte. Senza protagonismi» e Padova sta quindi scoprendo il suo carcere. Un pizzico di orgoglio traspare dalle parole del direttore Salvatore Pirruccio: «Stiamo parlando di un?esperienza che, a quanto mi risulta, non ha eguali, almeno nel nostro Paese». Sorprende invece, anche perché per nulla scontata, l?approvazione incondizionata da parte della polizia penitenziaria. «Questo è un trampolino di lancio: bisogna crederci. Una cosa così fa sicuramente la differenza», conferma un ispettore di lunga esperienza che lavora nell?istituto. E Boscoletto non si tirerà sicuramente indietro anche se gli scogli non mancano: «Non si ha idea di quanti permessi, quante carte, quante richieste si devono fare per far partire un?iniziativa che coinvolge i detenuti». L?alto tasso di professionalità ha colpito anche il presidente del tribunale di sorveglianza di Venezia, Giovanni Tamburino che in qualità di ex direttore dell?ufficio studi del Dipartimento Amministrazione penitenziaria ben conosce la realtà delle carceri italiane: «Con tutti i problemi di sovraffollamento e di carenza di personale, quanto realizzato è qualcosa di straordinario». Tanto che Giovanni Maria Pavarin, magistrato di sorveglianza del Tribunale padovano, prima conferma «il dato sulla recidività registrato dalla cooperativa» e poi lancia un appello «affinché questa esperienza diventi un modello a livello nazionale». Accade a Padova Informazione dietro le sbarre Un sito internet fra i più completi e aggiornati, una newsletter giornaliera, un centro di documentazione, un bimestrale a colori e tante altre iniziative (l?ultima, la costituzione di una federazione nazionale dell?informazione dal carcere), Ristretti (.it, nella versione online) è tutto questo. Un?esperienza nata oltre otto anni fa sempre all?interno delle mura del carcere Due Palazzi di Padova e poi estesa all?istituto femminile della Giudecca di Venezia, animata da Ornella Favero, che oggi impegna 70 persone fra detenuti e volontari esterni. Recentemente Ristretti con Donne in sospeso – testimonianze dal carcere della Giudecca, ha inaugurato anche un?attività editoriale, proseguita con altri due volumi: L?amore a tempo di galera, che raccoglie una serie di racconti di uomini e donne carcerati e di chi li aspetta fuori e Non aprite quel barattolo, una striscia di vignette che raccontano le vicende del protagonista Dado, disegnate e pensate dal detenuto vignettista Graziano Scialpi.


Qualsiasi donazione, piccola o grande, è
fondamentale per supportare il lavoro di VITA