Sostenibilità
Laureati creativi cercansi per scambi equi e solidali
Un buon bagaglio motivazionale: è la prima qualifica richiesta a chi si candida al lavoro nel commercio etico. Un settore che cresce e apre sempre nuovi spazi di lavoro.
AAA fantasisti cercansi per potenziare il mercato del cibo equo e solidale. Fantasisti, avete capito bene. Perché è del settore alimentare col più alto tasso di innovazione in circolazione che stiamo parlando. Prendete Ctm Altromercato: da cinque anni a questa parte lancia 16 nuovi prodotti alimentari ogni 12 mesi. «Per reggere questo ritmo», spiega Giovanni Gerola, responsabile comunicazione del consorzio di 130 enti non profit e 350 botteghe, «serve uno sforzo creativo altissimo». Sforzo che coinvolge dal marketing alla distribuzione e che, necessariamente, assottiglia le fila delle persone adatte a occuparsi di cibo etico: «Devono essere capaci di fare e immaginare cose nuove, di inventare. Servono giovani in grado di progettare e desiderosi di assumersi delle responsabilità». Il tutto, per uno stipendio che ad Altromercato definiscono ?giusto?: da 1.600 euro in giù, ma senza la forbice tra livelli bassi e livelli alti che caratterizza le buste paghe del profit. Cifre basse rispetto al mercato. Ma che non sembrano scoraggiare i giovani. «Nel nostro centro operativo di Verona nel 2001 eravamo in 50, oggi siamo 96», precisa Gerola. E valanghe di curriculum vitae – 120 solo per l?ultima ricerca di un certificatore – arrivano anche al consorzio Transfair che offre stipendi sulla stessa linea.
Competenze in campo
Ad Altromercato sono quattro: addetti alla ricerca e sviluppo di nuovi prodotti alimentari che di norma approdano al consorzio dopo una laurea in Tecnologia alimentare; responsabili della cooperazione che gestiscono la relazione con i produttori del Sud del mondo e provengono da un background sociologico-antropologico; responsabili del marketing e commerciali addetti allo sviluppo della rete di vendita. Ma la laurea non basta: «A tutti, oltre la formazione tecnica, chiediamo un buon bagaglio motivazionale», precisa Gerola.
Stesso discorso per Transfair, il consorzio senza scopo di lucro che dal 1994 certifica e diffonde nella grande distribuzione i prodotti del mercato equo. «Per lavorare da noi», spiega Paolo Pastore, «servono mente aperta, conoscenza delle lingue e una grande disponibilità a lavorare con persone del Nord e Sud del mondo». Il tutto, naturalmente, condito di laurea. In Agraria o Tecnologie alimentari se si aspira a fare il certificatore, il mestiere di chi, in Italia e nei paesi in via di sviluppo, controlla che produttori e prodotti rispettino i criteri di qualità fissati dall?organizzazione. In Scienze politiche e Giurisprudenza se, invece, si punta a fare il product manager incaricato di sviluppare il mercato dei prodotti etici.
E la formazione specifica su questi temi? «Siamo appena agli inizi», risponde Pastore, «i nostri neoassunti fanno una specie di training on the job: otto mesi di formazione interna in cui tarare le conoscenze acquisite durante l?università sulle specificità del mercato etico».
Mercato che al dettaglio, tra botteghe, negozi, supermercati e mense scolastiche, vale 100 milioni di euro. Supermercati: quelli interessati ai prodotti equosolidali, e di conseguenza ai professionisti in grado di trattarli, sono in aumento. Paura di salti di carriera dal non profit al profit? «Per ora nessuna azienda ci ha scippato dipendenti», risponde Gerola, «caso mai è il contrario. Ad Altromercato siamo in molti a essere passati dall?economia di mercato a quella solidale per ragioni etiche. E nessuno è mai tornato indietro. Perché il non profit consente di mettere a frutto le conoscenze tecniche in un quadro molto stimolante».
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