Welfare

Laura Laera: «Le adozioni un mondo con luci e ombre, ma non va distrutto»

«Il controllo sulle procedure è sempre doveroso, non è che adesso sia più rilevante che in passato. Il mondo delle adozioni internazionali ha luci e ombre, non è perfetto, ma non significa che questo mondo debba scomparire o essere distrutto»: così la vicepresidente della CAI ad EurAdopt. «Se ci si limita ai paesi sicuri, rimangono fuori paesi che invece vanno aiutati a diventare sicuri: è una bella sfida, e l’Italia c’è»

di Redazione

«Se ci si limita ai paesi sicuri, rimangono fuori paesi che invece vanno aiutati a diventare sicuri: è una bella sfida, e l’Italia c’è»: così la vicepresidente della CAI, Laura Laera, ha concluso oggi il suo intervento alla XIII Conferenza Internazionale di EurAdopt, in corso a Milano. Sollecitata dalle domande di Gad Lerner, moderatore della tavola rotonda fra le autorità centrali per l’adozione internazionale, ecco il suo intervento completo.

È ancora necessaria la vigilanza contro le compravendite e l’affarismo? Occupa ancora le sue priorità?
Io credo che il controllo sulle procedure sia sempre doveroso, non solo attualmente. Uno dei compiti centrali della CAI è il controllare che le procedure siano svolte regolarmente. Ora, come espletare questo dovere lo stiamo costruendo via via, ma certo non è e non è mai stato secondario: non è che adesso sia più rilevante che in passato. È sempre necessario mantenere alta la guardia affinché le procedure siano svolte con la massima trasparenza, legalità e correttezza. Il mondo delle adozioni internazionali è un mondo con luci e ombre, non è un mondo perfetto dove tutto funziona, è un mondo che sicuramente è perfettibile, ma il fatto che ci siano ombre non significa che questo mondo debba scomparire o essere distrutto. Anzi credo negli anni siano stati fatti considerevoli progressi nel garantire trasparenza e legalità. Gli Stati che hanno aderito alla Convenzione dell’Aja stanno adeguando gli standard delle loro procedure, alcuni anche in modo pregevole.

Quindi chi sottoscrive la Convenzione dell’Aja, poi la applica?
Non pensiamo che basti sottoscrivere la Convenzione dell’Aja per avere procedimenti garantiti ma certo è la base, con anche interventi di cooperazione per aiutare i Paesi a portare i loro standard a quelli previsti. Ricordiamo che molti paesi di provenienza hanno problematiche locali di un certo rilievo, con la guerra ai confini se non al proprio interno, condizioni economiche non floride per usare un eufemismo, alcuni non hanno i soldi per completare le procedure di adottabilità, per pagare gli assistenti sociali o i sanitari che fanno le valutazioni. Io ho grande rispetto per questi Paesi, penso soprattutto all’Africa, che stanno facendo questi sforzi.

Reddito basso, conflitti, malattie… ci sarà una forte disponibilità ad accelerare le procedure di Adozione Internazionale?
Non mi sembra ci sia questa corsa da parte dei paesi di origine a mandare all’estero i propri bambini, anzi. I paesi di provenienza sono al contrario paesi che tengono molto ai loro bambini, molto orgogliosi e attenti all’identità, temi che vanno tenuti in grande considerazione. La sottolineatura del rispetto dell’identità di questi bambini e delle loro radici io la faccio sempre, non possiamo pensare che l’adozione cancelli la loro storia. Non lo pensiamo nell’adozione nazionale, che è arrivata a riconoscere la questione delle radici e delle origini, figuriamoci se non è valido per bambini che vengono da paesi così lontani e diversi. L’adozione è cambiata, il mondo è cambiato. Il discorso del rispetto delle radici è fondamentale nell’interfacciarsi con le autorità degli altri paesi.

Si può pensare all’adozione in tutela dei minori non accompagnati?
Sì, ma con forme di adozione nazionale perché sono già sul nostro territorio. Ci sono tribunali che aprono all’adozione di MNA. Io trovo che non sia lo strumento più indicato, ciò non toglie che in alcune situazioni lo può diventare. Noi abbiamo diversi strumenti giuridici di tutela dell’infanzia, tutti gli strumenti possono essere utilizzati a seconda del caso specifico. Ad esempio, con un minore non accompagnato che arriva in Italia a 13 anni, né grande né piccolo, in una regione – penso alla Toscana dove ho lavorato negli ultimi anni – che fa ricorso all’affido per due terzi dei minori, molto più della media italiana per cui la metà va in affido e la metà in comunità, se poi si creano legami con la famiglia perché no l’adozione?

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