Cultura

Laudato sii fratello Festival

Storia di Alfonso, frate speciale: usa la chitarra per annunciare Cristo al mondo. Da Celentano a Bob Dylan passando per il jazz.

di Mara Mundi

«Bene, eseguirò un brano francescano». E mentre tutti aspettano “Fratello sole, sorella luna”, lui prende la chitarra e comincia a cantare: “quann’ spunt la luna a mar chiare pure li pesci giù fanno all’ammore”. È l’estate di tre anni fa. Padre Alfonso predica a Sorrento. In piazza, un gruppo parrocchiale si esibisce. In una breve pausa, il giovane frate viene chiamato sul palco dai ragazzi, che ben conoscono la sua passione per la musica. La gente è sorpresa. Ammutolita. «Adesso, vi faccio ascoltare un canto dedicato alla Madonna», continua.
A quel punto, tutti aspettano una lode mariana: “Oh Maria quanto sei bella”… o qualcosa del genere. E invece lui esordisce con “Reggine’ quann’ stave cu’ me”.
La platea, dapprima un po’ incredula, comincia a divertirsi. «In quel periodo, tra gli adolescenti, andavano forti le Spice Girls, che io conoscevo solo di nome», precisa padre Alfonso, «così decisi di concludere con l’ultimo pezzo delle “ragazze speziate”. Scherzavo. Di fatto, interpretai un blues classico di Robert Johnson “Baby, I’m gonna…”. La chitarra amplificata aveva richiamato l’attenzione di un gruppo di giovani in disparte, con un boccale di birra in mano, seduti al banco del bar. Li vidi affacciarsi in piazza, muovendo a ritmo testa e gambe. Mi vennero incontro per dirmi: “Padre, ma lei? Com’è possibile… queste canzoni? Siamo contenti di sentirle da un frate”». «Anche io», ammette, «fui felice di aver colpito quei ragazzi, che sembravano così disinteressati». Parole semplici, quelle scelte da padre Alfonso Maria Parente, per spiegarci la sua esperienza con la musica e con la preghiera. Un’esperienza «di comunione e di sacramento» che da San Giovanni Rotondo arriverà a Sanremo.
«Ho sempre cercato una forma di linguaggio comprensibile a tutti. La fede è qualcosa di molto personale. Non ho bisogno di cantarla nelle mie composizioni», continua il frate. «Dicendo “Gesù ti voglio bene, tu sei la mia vita”, non raggiungerei alcun risultato. La vera sfida è far capire a chi ti ascolta che tu sei come lui. Non deve esserci distacco». Ha una grande forza questo giovane frate trentaquattrenne. Un uomo prima lontano dalla Chiesa, convertitosi non più di dieci anni fa. «È entrata prima la musica nella mia vita», dice. E racconta di quando, ancora ragazzo, cominciò a suonare la chitarra da autodidatta. Non sopportava le melodie italiane, ad eccezione di Celentano, che ascoltava suo fratello maggiore. Poi, la scoperta di Bob Dylan e la voglia di riprodurre, con lo strumento a corde, le sue canzoni. «Una volontà ostinata che nel giro di un mese mi fece diventare il più bravo tra i compagni».

Dalla droga alla fede di S.Francesco
Da quel giorno è andato sempre avanti. Ha sperimentato nuovi sound, altri stili: dal jazz al blues acustico, sino alla West Coast americana. «La chitarra e la musica sono state grandi compagne della mia vita, anche nei momenti bui che ho attraversato. Le note sono state di conforto e di sollievo nei lunghi ed intensi momenti di sofferenza».
Poi, la vocazione religiosa arriva all’improvviso a liberarlo da quel carico di dolore di cui, oggi, preferisce non parlare. Errori del passato; sbandamenti comuni a tanti giovani in cerca di antidoti al diffuso disagio sociale: un viaggio nel mondo della droga, amarezza che solo la fede riesce a rischiarare. Padre Alfonso non vuol riaprire quella pagina, vuole evitare che il suo passato rischi di essere preso per escamotage pubblicitario, per una costruzione del personaggio. Allontana garbatamente ogni tentativo di scandagliare quei giorni e quelle sofferenze. «A tutti può capitare di vivere qualcosa che ci fa desiderare una nuova dimensione, in rottura con il passato. A me è successo», dice Alfonso che ricorda gli anni della “purificazione interiore”: «Quando avevo messo via la chitarra, gli spartiti, i brani composti, in quell’intensa volontà di ascetismo». Poi, la musica tornò. E furono proprio i confratelli e i superiori a volerlo. In particolare padre Claudio Ruggero, scomparso lo scorso anno, che regalò ad Alfonso una cassetta di musica eseguita con la chitarra classica. Un amore improvviso, forte. Finalmente musica e preghiera si ritrovano. Non è stato puro caso, infatti, il modo singolare che ha portato padre Alfonso a vivere quest’avventura sanremese. «Lo scorso anno, una troupe televisiva venne da Roma per realizzare una videocassetta su Padre Pio, e io risposi ad alcune domande sul frate delle stimmate. In un momento di pausa, mi sedetti al pianoforte e cominciai a strimpellare due note, accompagnandole con una mia canzone. Di solito questo non accade mai», sottolinea il giovane cappuccino. «Il regista rimase colpito dalle parole della mia composizione, e ne parlò con il produttore del filmato».

Un modo di “cantare” il Vangelo
Insomma l’impresario volle produrre un suo disco e solo dopo si pensò alla kermesse canora. L’idea è quella di realizzare un progetto più ampio, che esca dalle parrocchie e dagli oratori. «La gente si stupirà del mio modo di cantare il Vangelo. Una signora di Milano mi ha scritto una lettera di indignazione per la mia partecipazione al festival. Ci sono molti riferimenti evangelici ai quali potrei appellarmi per risponderle», conclude. Ma la risposta alla signora arriverà, di nuovo in musica, da un altro palco, quello dell’Ariston, così come anni fa giunse a dei ragazzi in un bar di Sorrento.

Se il Vangelo è nel refrain

Come tutte le canzoni in gara a Sanremo è avvolta dal mistero. Non può esserne diffuso il testo. Il titolo però si conosce: «Che giorno sarà». Padre Alfonso Maria Parente anticipa che si tratterà di un brano “impegnato”: quattro strofe che fanno riferimento ad altrettante situazioni di disagio sociale, molto diffuse in occidente: immigrazione, droga, alcolismo e prostituzione. «In una di queste frasi faccio un preciso riferimento evangelico», ci anticipa, «che però non voglio ancora svelare». Nell’album, che uscirà subito dopo la manifestazione canora, è incluso anche un brano scritto due anni fa, quando padre Alfonso riceveva il ministero del sacerdozio. «È un brano che forse mi creerà qualche grattacapo, perché polemizza un po’ sulle forti incongruenze nelle pratiche religiose dei cristiani», dice, «soprattutto per quanto riguarda i rituali, che molti fanno fatica a capire». Un pezzo che sferza i credenti a essere più coscienti e partecipi ai riti cui partecipano. Il frate di San Giovanni Rotondo è infatti convinto che occorra «cominciare ad esaltare le azioni positive della Chiesa». Uno dei fiori all’occhiello di Santa Madre Chiesa, per padre Alfonso, è proprio la promozione e il sostegno a tante iniziative di volontariato, all’associazionismo, cattolico e laico e a tanti altri momenti di aggregazione. «La musica può aiutare in questa operazione di coinvolgimento e fare molto per alleviare le difficoltà sociali. Basta trovare il linguaggio giusto» osserva, e confessa a Vita un sogno: «Fondare scuole e associazioni musicali, in ogni angolo delle città, perché la musica è un mistero. Un mistero grande. E sono convinto che possa fare solo del bene». Chissà che il palcoscenico sanremese non lo aiuti.

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