Medio Oriente
L’attivista israeliana: «La difesa migliore è la costruzione della pace»
Na'ama Barak Wolfman è un’attivista di Women Wage Peace, un grande movimento di pace nato in Israele: «Siamo ebree e arabe, musulmane, cristiane, druse e beduine», racconta. «La maggior parte dei palestinesi, e la maggior parte degli israeliani, vogliono semplicemente condurre una vita pacifica e tranquilla. Entrambe le parti hanno tentato soluzioni militari che non hanno funzionato. Ora servono negoziati di pace»
di Anna Spena
37 giorni di guerra tra Israele e Hamas. Una guerra dove, e questo era chiaro fin dall’inizio, i civili avrebbero perso tutti. I numeri da soli non descrivono la portava di questa tragedia umana, ma le guerre sono fatte anche di bilanci. E questo è drammatico: oltre undicimila le vittime palestinesi, di cui più di 4500 bambini, 1400 le vittime israeliane, circa 240 gli ostaggi ancora nelle mani di Hamas.
Nella Striscia di Gaza, 2,3 milioni di abitanti, oltre 1,5 milioni, stando ai dati Onu, ora sono sfollati. Nell’ospedale di Al Shifa, a Gaza City, i medici parlano di una situazione catastrofica, disperata. Gli ospedali a Nord della Striscia di Gaza sono tutti inutilizzabili. I pazienti stanno morendo, anche i neonati, perché le macchine che li tenevano in vita non funzionano più.
I camion umanitari entrano a singhiozzo dal valico di Rafah – confine con l’Egitto – ma continua a non entrare il carburante. Bene essenziale per far funzionare gli ospedali che non sono stati colpiti dai bombardamenti delle forze di difesa israeliana. Benjamin Netanyahu, primo ministro israeliano, continua a respingere le richieste internazionali per un cessate il fuoco. Esistono dentro e fuori Israele, dentro e fuori della Palestina, gruppi di persone, cittadini ebrei e arabi, che lavorano da anni per la costruzione della pace. E anche se oggi la parola “pace”, davanti a tutto questo orrore, ci sembra svuotata di senso, oggi queste realtà della società civile ci dimostrano che è per quel senso che bisogna andare avanti.
Abbiamo intervistato Na’ama Barak Wolfman, attivista di Women Wage Peace, una realtà che ha sede in Israele e che lavora con il suo movimento gemello palestinese Woman of the Sun. Due realtà – fatte da donne – che lavorano insieme e organizzano incontri pubblici per dimostrare che una riconciliazione tra i due popoli è possibile. Na’ama Barak Wolfman vive in un piccolo sobborgo chiamato Lapid, nel centro di Israele. Ha 56 anni e 3 figli.
Questi sono giorni drammatici, come state?
Il 7 ottobre è stato orribile. Molti di noi hanno trascorso quel giorno in rifugi antiatomici. I nostri cuori sono andati ai nostri amici su entrambi i lati del confine. In questi giorni siamo ancora in uno stato di guerra. Ogni giorno vengono lanciati razzi da Gaza verso Israele. Siamo ancora in uno stato di shock. E c’è un sentimento di tristezza molto pesante. Non c’è nessuno in Israele che non sia stato toccato da questa situazione. Tutti conoscono qualcuno che è stato assassinato, ucciso, ferito, rapito. Durante la prima settimana dopo l’inizio del conflitto, tutti siamo stati ai funerali e alle visite di condoglianze, e continuiamo, perché sono state identificate altre vittime. Questo vale sia per gli ebrei israeliani che per gli arabi israeliani: ad Hamas non importava se le vittime fossero un paramedico arabo o una donna musulmana con l’Hijab. In questi giorni sto cercando di rimettermi in piedi, come molte altre persone in Israele. Sto cercando di capire quale sia la cosa giusta da fare, dove concentrare le mie energie.
Che cos’è e com’è nata l’Associazione Women Wage Peace?
Women Wage Peace è il più grande movimento di pace di base in Israele raccoglie circa 50mila persone. Il movimento è nato durante l’operazione militare Protective Edge a Gaza nel 2014. È nato da un gruppo di madri che hanno detto: “Quando è troppo è troppo! Dobbiamo porre fine ai sanguinosi cicli di violenza tra israeliani e i palestinesi”. Il nostro obiettivo è quello di arrivare a una risoluzione negoziata del conflitto israelo-palestinese che sia giusta, onorevole e non violenta e che garantisca pace, libertà, sicurezza, uguaglianza e diritti a tutti i nostri figli e alle prossime generazioni. Chiediamo ai nostri leader di riprendere i negoziati con la partecipazione attiva e paritaria delle donne, in conformità con la risoluzione 1325 del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite (che afferma che le donne devono svolgere un ruolo attivo nella risoluzione dei conflitti e nei negoziati di pace). Ci rendiamo conto che esistono molti suggerimenti e piani diversi per la soluzione del conflitto, come la soluzione dei due Stati o la soluzione della Confederazione. Ma noi non avanziamo nessuna di queste soluzioni, diciamo semplicemente ai nostri leader: tornate ai negoziati e risolvete la questione.
Quando hai scelto di diventare un’attivista di Women Wage Peace?
Mi sono unita a Women Wage Peace circa 6 anni fa, quando la mia figlia maggiore stava svolgendo il servizio militare e mi sono resa conto che tra qualche anno anche l’altra figlia e poi mio figlio si sarebbero arruolati. I miei figli hanno 26, 22 e 17 anni. Anche se capisco che Israele ha bisogno di un esercito forte per difendersi, penso che in realtà la migliore difesa si trovi nella pace. E per la pace vale la pena lottare. Devo farlo per i miei figli. Ora sono un membro del comitato direttivo di Women Wage Peace. Il movimento è guidato da due co-direttori e da un comitato direttivo di 3 membri. A parte i direttori, siamo tutti volontari. Il nostro ruolo di leader è quello di assicurarci che tutte le voci dei nostri diversi membri siano ascoltate e rispettate, e che gli accordi siano raggiunti attraverso conversazioni e dibattiti.
La vostra associazione dimostra che la coesistenza e il dialogo sono possibili. Il vostro movimento è gemellato con Women of the Sun, un vostro corrispettivo palestinese. Da quanti anni lavorate insieme?
Women Wage Peace è composto da donne di ogni estrazione sociale in Israele. Siamo ebree e arabe, musulmane, cristiane, druse e beduine. Le nostre socie vivono in tutto il territorio israeliano, da nord a sud, e hanno opinioni politiche diverse. Abbiamo membri di sinistra e di destra. Il dialogo e la conversazione sono una parte fondamentale del nostro movimento fin dall’inizio. Women of the Sun è stata fondata 3 anni fa, in Cisgiordania, da alcune donne molto forti e incredibilmente coraggiose. Ora hanno un seguito di circa 3mila donne provenienti da tutta la Cisgiordania e da Gaza.
Quali iniziative avete portato avanti?
Qualche anno fa abbiamo scritto l’Appello delle Madri, un’iniziativa congiunta di donne israeliane e palestinesi di ogni estrazione sociale, unite dal desiderio di un futuro migliore per i nostri figli, le nostre famiglie e le prossime generazioni. Questo appello è stato formulato da donne di entrambe le parti del conflitto, israeliane e palestinesi, arabe, ebree, musulmane, cristiane e druse. Ci sono voluti 9 mesi di deliberazioni. Ogni parola di questo appello è stata concordata. In questo appello affermiamo la nostra convinzione che tutte le madri, le donne, sono unite nel desiderio di un futuro di pace, libertà, uguaglianza, diritti e sicurezza per i nostri figli. Chiediamo quindi ai nostri leader di avviare immediatamente colloqui e negoziati di pace, per giungere a una soluzione politica di questo sanguinoso conflitto che dura da molto, troppo tempo. Crediamo che tutte le madri possano fare eco a queste parole. Ci auguriamo che vi uniate a noi e che firmiate sul nostro sito web.
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Cosa vi state dicendo ora con le donne di Woman of the Sun? Quali attività continuate a svolgere insieme in questi giorni difficili?
Prima del 7 ottobre abbiamo tenuto regolari incontri di lavoro presso gli uffici di Woman of the Sud in Cisgiordania. Abbiamo anche organizzato incontri mensili di israeliani che venivano a conoscere il nostro movimento partner. Purtroppo, al momento questo non è possibile. Il 4 ottobre abbiamo avuto un evento eccezionale per tutto il giorno. Abbiamo incontrato le nostre partner al checkpoint di Betlemme e abbiamo guidato insieme fino a Gerusalemme, dove ci siamo riuniti al Monumento alla Tolleranza e abbiamo ricevuto sostegno da parte di molte personalità internazionali. La sera ci siamo riuniti sul Mar Morto, circa 1500 costruttori di pace provenienti da tutto il mondo, per alzare la voce nell’Appello delle Madri e per impegnarci a continuare il nostro lavoro per la pace. Nessuno di noi poteva immaginare cosa sarebbe successo solo 3 giorni dopo.
Tutti gli ostaggi devono essere rilasciati senza condizioni, e a Gaza e nel resto della Cisgiordania, le vite civili devono essere protette. Ma dopo questo mese drammatico, doloroso e terribile, come possiamo sostenere la voce della società civile? Come possiamo evitare di farci schiacciare dalla violenza e dall’odio?
La violenza sarà fermata da un accordo di pace. Non sono un’ esperta militare e non posso parlare di strategia militare. So che Hamas è un’organizzazione terroristica che tiene in ostaggio 2 milioni di persone e circa 240 israeliani nella Striscia di Gaza. Affinché si verifichi un vero progresso, dobbiamo innanzitutto vedere il rilascio di tutti gli ostaggi che sono stati rapiti dalle loro case, dai loro letti. Uno di questi ostaggi è Vivian Silver del Kibbutz Be’eri, che è una dei nostri membri fondatori. Un’altra è Ditza Heiman, madre di uno dei nostri membri. Sappiamo che i palestinesi di Gaza stanno soffrendo terribilmente. E sappiamo che anche loro sono oppressi da Hamas. Anche le nostre partner, le Women of the Sun, in Cisgiordania, stanno soffrendo durante questa guerra. Per questo non possiamo fermare il nostro lavoro. Spero che questo sia un campanello d’allarme per tutti. Spero che ora tutti si rendano conto che il conflitto israelo-palestinese deve essere risolto, non solo gestito o minimizzato. Credo che la maggior parte dei palestinesi, e la maggior parte degli israeliani, vogliano semplicemente condurre una vita pacifica e tranquilla. Sulla base di questa convinzione, incontro e conosco i miei vicini palestinesi e i miei partner palestinesi. E in realtà non ci sono molte differenze. Ci sono però molti malintesi e disinformazione da entrambe le parti con cui dobbiamo fare i conti. C’è molta paura, ora più che mai. Prima del sette ottobre ci conoscevamo e comunicavamo. In questo momento la comunicazione è più difficile, ma riusciamo comunque a mantenerla. E dovremo rafforzare la fiducia e i legami anche dopo la fine della guerra, dopo che la paura si sarà placata. Quindi sì, penso che la pace sia possibile. Io non ho un altro posto dove andare, e nemmeno i palestinesi. Dobbiamo trovare una soluzione e la troveremo. Entrambe le parti hanno tentato soluzioni militari, che non hanno funzionato molto bene. Ora dobbiamo guardare alla situazione in modo diverso. Women Wage Peace chiede l’immediata restituzione degli ostaggi e l’apertura di un corridoio umanitario per assistere i cittadini innocenti di Gaza. Continuiamo inoltre a chiedere, e lo ripeto, il ritorno ai negoziati, perché sappiamo, ora più che mai, che la risoluzione definitiva del conflitto avverrà attraverso negoziati e accordi. Allo stesso tempo continuiamo a mantenere e rafforzare i nostri legami con la comunità arabo-israeliana, che sono molto fragili. Molti dei membri arabo-israeliani del Women Wage Peace hanno familiari o conoscenti a Gaza e in Cisgiordania e sono estremamente preoccupati in questo momento. Il conflitto israelo-palestinese è vecchio di decenni, sanguinoso e terribile, ma conosciamo altri conflitti sanguinosi nel mondo che sono stati risolti, e anche il nostro lo sarà. Non abbiamo altra scelta. La pace è possibile.
Credit foto pagina Facebook Women Wage Peace
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