D?altronde, cosa avrei potuto fare? Anche ammettendo che mi fosse venuto in mente qualcosa di sensato da dire, che fossi riuscito a interrompere tutto quel consolarsi e darsi coraggio che sinceramente mi faceva un po? pena, ormai a quel punto era già successo tutto. Nessuno di noi ancora lo sapeva, però era così. Era già finito tutto. Questione di minuti, forse. Mentre noi eravamo lì a dare coraggio ai genitori di Marco, in quel modo imperdonabile che si ha in questi casi, infilati in un?affettuosissima severità, lui, Marco, neanche tanto lontano da noi, la faceva finita. Gli dava un taglio, anzi. Lui di sicuro direbbe così. Dargli un taglio. E dunque. C?eravamo noi, gli amici, e c?erano loro, i genitori. E c?era anche qualcuno dei nostri. Anzi tutti, direi, meno che i miei. Caffè, sigarette, qualche battuta di quelle che servono a scaricare la tensione e il telefono. Dalla sera prima, quando il signor Luigi e la signora Giulia, i genitori di Marco, si erano allarmati per il ritardo del figlio e ci avevano chiamato, e poi la notte intera, e la mattina appresso e tutto il pomeriggio. E adesso si era fatto di nuovo sera. Io non so, sono state dette tante cose, ieri sera, e a me pareva sempre che tutti avessero ragione. E forse è proprio così, forse è vero che ognuno ha sempre ragione, oppure che abbiamo sempre torto, tanto è lo stesso. Siamo come ci capita, e questo davvero non dipende da noi. Ieri sera abbiamo riso e pianto, abbiamo mille volte abbracciato Marco e mille gli abbiamo imprecato contro per l?angoscia che ci dava quella sua assenza silenziosa. Il signor Luigi ogni tanto prendeva uno di noi, gli allungava un braccio dietro le spalle, lo invitava a sedere e gli faceva sempre le stesse domande. Sua moglie, la signora Giulia, è tutt?altra cosa. Ha passato la giornata al telefono, battagliera e decisa. Non ha mai pianto, ha pianificato ogni mossa, si è impegnata per tutto il tempo a cercare, attraverso catene di amicizie e conoscenze, qualcuno che occupasse un posto importante nella polizia e si occupasse di ritrovare suo figlio. Il signor Luigi invece no. Tra un sorso di whisky e una botta di coraggio, «Ma cosa vi dice Marco di me?», chiedeva. «Si sente compreso? Si sente trascurato? Io», diceva, «io non lo so, non so più che devo pensare. Questo silenzio è arrivato così all?improvviso, è uno schianto. E mi accorgo che Marco ha vissuto dentro di me in tutti questi anni, dal momento in cui è nato, come un?ossessione che dovevo mettere da parte. Un pezzetto di carne che cresceva a dismisura, e mi sbarrava la strada, mi spezzava la vita, mi distoglieva da tutto quello che invece mi sembrava dovesse essere al centro. Marco è stato l?idea brutta. La scacciavo, la respingevo, cercavo di aprire il mio pensiero ad altro, come si apre una finestra per far uscire l?aria viziata da una stanza dopo una malattia, ma lui era sempre lì, con le sue richieste, la certezza del suo amore che mi ossessionava, il bisogno che aveva di me, e un richiamo alla responsabilità che era un urlo nel cervello. Non so come esprimere una simile tortura. Mi rodeva l?anima ogni volta che mi ricordo della mia trascuratezza, e ogni morso sentivo un dolore terribile, da cui potevo fuggire solo voltando la testa, non fermandomi a pensare mai. Così sono andato avanti per anni. I giorni rotolano uno dietro l?altro, e per questo sembrano felici. Mi accorgo adesso di essere io a non poter fare a meno di lui, e non so neanche come sia successo, non so perché». E con la sigaretta accesa dopo ogni sfilza di domande e dopo ogni confessione, si dava la risposta da sé. Perché ormai era troppo tardi e lui in un modo o nell?altro lo sapeva. Oppure peggio, lo avvertiva, che è un modo di sapere ancora più lancinante. Sentiva che non ci sarebbe stato un altro giro di ruota, e andava ripetendo che certi giorni arrivano così, quando meno te li aspetti, diversi da tutti gli altri, e si mettono di traverso. La moglie, quando lo sentiva straparlare in questo modo, lo guardava con una smorfia di compatimento, ma poi subito distoglieva l?attenzione e tornava a concentrarsi sulle sue operazioni, consigliandosi con le amiche, tra cui sarebbe anche mia madre che però ieri non c?era. Il padre di Giorgio, un altro amico mio, per dare coraggio al signor Luigi allora gli andava dietro e ripeteva che non era il caso di arrovellarsi così perchè i giovani sono difficili da capire, diceva, e per quanto loro, i padri, possono spaccarsi la schiena per comprarci un palazzo bello comodo e sicuro, noi amiamo comunque andare a rifugiarci in qualche scantinato. Passerà passerà, diceva poi sicuro, per consolarlo. Adesso quando torna ci parli e vedrai che andrà tutto a posto. Bisogna essere amici dei figli, diceva. Poi, non ricordo bene a che punto del pomeriggio, mi sono affacciato alla finestra e ho visto Flavio. Stava fermo immobile sul marciapiede di fronte, ci ha passato tutto il giorno, e ogni tanto guardava su. Flavio, sai, è un nostro compagno che arriva a scuola sempre a testa bassa, non saluta nessuno, triste come una stanza spoglia. Ha una madre bellissima, snella, con i capelli arruffati come Kim Basinger e la pancia un po? sporgente, dicono che sia una prostituta a domicilio. Qualche amico vanta pure di esserci andato a letto e per questo i genitori di Marco non vogliono che il loro figlio frequenti Flavio, anche se i due ragazzi sono molto amici, e gira gira all?ora di ricreazione li vedi sempre insieme. Flavio lo sa, e perciò non ha neanche provato a salire su casa. Io non so se tutte queste voci sono vere, forse sì, e certo avere una madre così deve essere un bel problema. Eppure, ogni volta che Flavio è un po? malato, sua madre viene ad attenderlo fuori scuola, e quando lo vede uscire gli apre lo sportello e aspetta trepidante che suo figlio salga in macchina, gli fa fretta, gli dice dài, sbrigati, che ce ne andiamo a casa subito, e sapessi che sorpresa ti ho preparato. Lui è tranquillo, quando vede sua madre perde la cupezza che ha in classe. E io mi incanto a guardarli, perché quella è proprio la trepidazione di una mamma, e attraverso quel loro modo di salutarsi, anzi di festeggiarsi ogni volta che si vedono, mi è venuta l?idea che dietro la severità di Flavio si nasconda una grande forza. Credo proprio così. Ieri sera ho fatto l?ultimo cenno a Flavio verso le nove. Lui stava lì, come al solito, immobile sul marciapiede a guardare in su, e non appena gli ho accennato che non c?erano notizie è sbucata la macchina della polizia. Si è fermata sotto il portone e discretamente, troppo, ne sono scesi due poliziotti. Tempo due minuti hanno suonato alla porta. Poi, quello che è successo dopo non lo saprei dire con precisione. I poliziotti hanno parlato sottovoce col signor Luigi e con la signora Giulia, e subito dopo ho visto l?uomo sentirsi male e la donna urlare contro gli agenti che, diceva, non erano stati in grado neanche di ritrovare in tempo un ragazzino ingenuo. Allora, tutti gli altri genitori presenti, si sono dati da fare per soccorrere e dare coraggio al papà e alla mamma di Marco, mentre io non sapevo più che fare, mi veniva da piangere e gridare il nome del mio amico, e invece mi sono strozzato e sono rimasto senza fiato. Sono sceso di corsa giù in strada e ho abbracciato Flavio. Lui ha pianto, mi ha stretto forte e non mi lasciava più.
Quando sono risalito, i poliziotti stavano leggendo la lettera trovata nella tasca di Marco.
C?era scritto:
Questa lettera solo per dirvi che sento fino a qui l?odore dell?odio per cui non mi avete mai cercato e col quale adesso cercate di trovarmi. Sento il vostro fiato sul collo.
Ma foste entrati una sola volta, una sola, in un mio pensiero, avreste forse potuto conoscere meglio questo paese in fiamme in cui mi trovo a vivere? Cresciuto nel malor di Dio, adesso mi nausea il suo fetore.
Allora la signora Giulia è diventata di marmo, ha fatto le labbra fine fine e ha strappato la lettera. Non può essere di mio figlio, ha detto.
Onofri: una narrativa nel segno di Pasolini
Per la serie dei racconti inediti scritti per ?Vita? sul tema ?Genitori e figli?, questa settimana tocca a Sandro Onofri. Nato a Roma nel 1955, esordì come scrittore nel 1991 con il romanzo ?Luce del Nord?, che gli valse il premio Giuseppe Berto. Un romanzo molto vivido, che rivela lo scrittore di razza. La narrativa di Sandro è una narrativa di forte impegno sociale e morale. Non a caso Pier Paolo Pasolini è da sempre il suo nome tutelare. La sua produzione alterna romanzi (?Colpa di nessuno? è del 1995) a libri-reportage come il fortunato ?Vite di riserva? (1993), dedicato agli indiani d?America, e il recentissimo ?Le magnifiche sorti?.
Sono già stati pubblicati i racconti di Luca Doninelli, Davide Rondoni, Bruno Rinaldi e Raul Montanari. Nei prossimi numeri Chiara Zocchi, Aurelio Picca, Vincenzo Gambardella, Dario Voltolini, Tiziano Scarpa, Paola Capriolo, Erri De Luca e Enzo Fontana.
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