Salute
L’attacco e i morti di Parigi mi hanno fatto riflettere sulla disabilità in un clima di guerra
di Noria Nalli
Di solito cerco di differenziare i post di Sclerotica da quelli de La stampella di Cenerentola su lastampa.it. In questo caso, data la gravità degli eventi, mi è sembrato giusto riproporre anche qui le mie riflessioni de La stampella di Cenerentolla,
L’altra sera le notizie dell’orrore di Parigi mi sono arrivate in maniera subdola, mentre stavo guardando insieme a mio marito, alcuni video del 1985, tratti dal Live Aid, attraverso un televisore, rimasto acceso per sbaglio nella stanza di mia figlia.
Passare dalla gioiosità festosa delle immagini del passato ad una realtà di morte è stato veramente scioccante. Personalmente ho rivissuto in pochi minuti ricordi della mia gioventù libera dalla disabilità per ripiombare in una attualità terribile, in cui i miei problemi fisici mi sono apparsi amplificati a dismisura. Se in un contesto di pace, con poche situazioni conflittuali, la vita dei disabili è caratterizzata dalla consapevolezza dei propri limiti fisici e da una precarietà di fondo, in un clima di guerra non essere autosufficienti diventa insopportabile. Scappare, nascondersi, infilarsi nelle strettoie o arrampicarsi per fuggire ad un attacco è praticamente impossibile! Ascoltando i resoconti del blitz terroristico di ieri, ho pensato subito alle persone coinvolte, augurandomi che almeno nessun ostaggio con problemi di mobilità fosse tra loro. Oggi invece ho ripensato a mente fredda a quanto è accaduto. Le responsabilità dell’Europa sono evidenti. Il terrorismo è un cancro che esce dalle nostre viscere. Io non sono un’esperta di politica internazionale, ma mi sento di affermare che un mondo che inizi veramente ad applicare regole, che rendano strade e città veramente e completamente accessibili a tutti non potrebbe che essere il migliore, cercando l’uguaglianza e le pari opportunità si realizzerebbe l’utopia della società perfetta. In proposito, consiglio a tutti di leggere La contea dei ruotanti del grande Franco Bomprezzi.
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