Mondo
L’assurda assenza della Politica nell’escalation militare in Siria
«Quanto si sta dicendo e si sta preparando per giustificare e condurre un’escalation militare, distruttiva e mortale, in Siria, dimostra ancora una volta come la Politica abbia ormai ben poco spazio nell’azione dei politici». L'analisi di Nino Sergi, presidente emerito di INTERSOS e policy advisor di LINK 2007
di Nino Sergi
L’escalation militare in Siria
Quanto si sta dicendo e si sta preparando per giustificare e condurre un’escalation militare, distruttiva e mortale, in Siria dimostra ancora una volta come la Politica abbia ormai ben poco spazio nell’azione dei politici. Troppo faticoso sembra essere per loro ragionare, approfondire, cercare di capire le ragioni dell’altro, ricercare indefessamente la soluzione più ragionevole, adottare misure che non siano distruttive e assassine di persone innocenti e inermi, utilizzare gli strumenti, non pochi, che la comunità internazionale ha con fatica costruito nei decenni, proprio dopo una grande, disastrosa guerra ed altri continui conflitti. Troppe sembrano essere le capacità politiche, diplomatiche, umane ce sono loro richieste. Troppo anche è ormai considerato il tempo che occorre dedicarvi. Meglio sbrigarsela con il lancio di missili, muovendosi dall’esterno, da lontano, colpendo e basta: e poi succeda quel che succeda, ai civili, perfino ai bambini, non sono affari nostri. America first ma anche Francia, Regno Unito, Russia, Israele first, con altri paesi in secondo piano da una parte e dall’altra. Si sta così assistendo al declino della democrazia e di quelle Democrazie che, nel bene e nel male, hanno comunque comunicato valori.
L’alleanza euro-atlantica
L’importanza delle alleanze politiche e militari non è messa né può essere messa in dubbio in questa fase così incerta delle relazioni internazionali. Ma proprio perché la fase è così complessa, carica di tensioni e di crescente insicurezza, ogni alleanza ed in particolare quella europea e atlantica dovrebbe comportare non un adeguamento cieco al più forte e arrabbiato (spesso fintamente) o al paese che persegue propri interessi nascosti come sempre è stato, ma dovrebbe riuscire ad esprimere il meglio delle analisi, delle valutazioni, delle strategie e delle visioni del mondo coerenti con i valori che stanno alla base dell’alleanza stessa. Ciò dovrebbe valere inderogabilmente per l’Occidente e per l’alleanza euro-atlantica, trattandosi di alleanza innanzitutto politica, che esprime valori e che punta al benessere e alla stabilità.
Le lezioni non apprese – Non pochi sono gli errori del passato che hanno indebolito la coesione, la solidarietà, l’unità dell’alleanza atlantica. Le lezioni apprese sono state subito dimenticate o offuscate e sembra che non si voglia evitare di ripetere gli stessi errori politici. In questa fase di sfide complesse e di crescenti tensioni occorrerebbero non improvvisazioni o decisioni puramente “egoistiche”, basate sul proprio “first” o su quello di alcuni willings, come è stato per l’Iraq, ma un “approccio onnicomprensivo e di sicurezza cooperativa, una sicurezza anche con gli altri e non solo contro gli altri”, come faceva ben notare tempo fa l’ISPI (Aragona, Di Paola, Minuto Rizzo, 2016). Evidenti sono gli errori commessi con l’invasione dell’Iraq, la guerra confusa in Afghanistan, la gestione del caso Ucraina e, più recentemente, l’assoluta incapacità di previsione nella gestione della crisi siriana e decidendo l’intervento in Libia. Quest’ultimo è sotto gli occhi di tutti, anche i più disattenti, perché tocca da vicino l’Italia che subisce una parte importante delle sue conseguenze. Soffermiamoci quindi sul caso illuminante della Libia.
Si predica bene ma si razzola male
La prima fase di insurrezione popolare, innescata dal desiderio di rinnovamento politico contro il regime di Gheddafi sull’onda della rivolta tunisina e di quella egiziana, si trasforma in poche settimane in conflitto civile tra le forze lealiste gheddafiane e quelle dei rivoltosi riunite nel Consiglio nazionale di transizione. La repressione del regime è durissima e feroce, soprattutto contro civili inermi. Il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite si pronuncia con due successive risoluzioni, 1970 a febbraio e 1973 a marzo 2011. Ribadisce “la responsabilità delle autorità libiche per proteggere la popolazione libica”, condanna “le violazioni gravi e sistematiche dei diritti umani, tra cui detenzioni arbitrarie, sparizioni forzate, torture ed esecuzioni sommarie“ e afferma “che gli attacchi diffusi e sistematici in corso in Libia contro la popolazione civile possono configurare crimini contro l’umanità”. Chiede quindi “l’immediata costituzione di un cessate il fuoco e di una totale fine delle violenze e degli attacchi, oltre che degli abusi, contro i civili”, a protezione dei quali autorizza “ad adottare tutte le misure necessarie” ad esclusione di “una forza di occupazione straniera in qualsiasi forma su qualsiasi parte del territorio libico”; istituisce una zona d’interdizione al volo sulla Libia, autorizzando ogni misura necessaria per far rispettare il divieto; rafforza l’embargo sulle armi e l’azione contro i mercenari, consentendo ispezioni forzate in “porti e aeroporti, in alto mare, su navi e aerei”. Veniva così legittimato l’intervento militare ad opera di alcuni paesi, avviato due giorni dopo e terminato con l’uccisione di Gheddafi da parte delle milizie rivoluzionarie il 20 ottobre nei dintorni di Sirte.
La “responsabilità di proteggere”
L’intervento militare, diretto e indiretto, è andato ben al di là di quanto autorizzato ma la protezione della popolazione civile libica è stata ben limitata, date le conseguenze di un intervento, pur legittimato dal Consiglio di Sicurezza, che nascondeva ben altri fini e appetiti politici ed economici. Si è voluto cioè invocare la “responsabilità di proteggere” per coprire altre finalità che nulla avevano a che vedere con la protezione dei civili inermi. Responsabilità sancita dalla Comunità internazionale dopo anni di riflessione e discussioni in sede Onu e nelle istituzioni internazionali. L’intervento in Libia, coperto dalla stessa Comunità internazionale ha così (definitivamente?) seppellito questa conquista di civiltà e di coscienza umanitaria, riportando indietro le lancette del tempo e decretando il declino dei valori occidentali.
Il declino dell’Occidente – L’escalation militare che si prospetta – come se non si fosse già superato ogni limite in Siria – non ha alcuna legittimazione del Consiglio di Sicurezza, rimasto bloccato dai veti incrociati. E’ invece legittimata da un tweet mattutino dettato dall’emotività. L’uso di armi di sterminio di massa non può essere accettato e richiede, quando provato, una severissima risposta seguendo le regole che la Comunità internazionale si è data. Seguire altre strade, pensando di sbrigarsela più rapidamente o di ottenerne vantaggi, rafforza quel piano inclinato sul quale ci siamo posti da ormai vari anni, decidendo il nostro declino.
Che si fermino le armi e che si dia spazio all’azione intelligente, paziente e perseverante della politica. L’Europa dia l’esempio. Prima che sia troppo tardi.
Cosa fa VITA?
Da 30 anni VITA è la testata di riferimento dell’innovazione sociale, dell’attivismo civico e del Terzo settore. Siamo un’impresa sociale senza scopo di lucro: raccontiamo storie, promuoviamo campagne, interpelliamo le imprese, la politica e le istituzioni per promuovere i valori dell’interesse generale e del bene comune. Se riusciamo a farlo è grazie a chi decide di sostenerci.