Economia
L’assordante silenzio del Governo al Social Enterprise World Forum
Per tre giorni a Milano si sono dati convegno imprenditori sociali da tutto il mondo, con loro ministri di tanti Paesi, da Taiwan al Ghana. Purtroppo, però non si è visto nessun ministro del Governo italiano. Un silenzio significativo
Venerdì si è conclusa la tre giorni del Social Enterprise World Forum, l’incontro annuale degli imprenditori sociali di tutto il mondo, organizzato da Fondazione ACRA – CCS per la prima volta in Italia.
Ricordo la soddisfazione di Elena Casolari quando – non senza fatica – abbiamo convinto lo Steering Committee del SEWF e Expo2015 Spa dell’importanza di promuovere a Milano i temi dell’economia sociale proprio nell’anno dell’esposizione universale e soprattutto di un Expo che aveva come slogan “Feeding the planet, Energy for Life”. Ovviamente, considerando i prezzi al mq, nessuno di noi aveva il minimo dubbio che non si sarebbe potuto organizzare l’evento nel sito espositivo, se non la plenaria di apertura nel salone congressi di Expo, e quindi , dopo numerose ricerche, ACRA scelse la sede dello IULM.
Per tre giorni all’Università di via Carlo Bo si è parlato di indici di misura del benessere sociale (che vedono l’Italia molto indietro rispetto a paesi con PIL confrontabile), di esperienze di imprenditoria sociale di successo per combattere la povertà , di investimenti ad impatto sociale ed ambientale; si sono potute confrontare le nostre migliori esperienze di cooperazione sociale con quelle dei paesi del centro America, si è proposta l’impresa sociale come una scelta alternativa per le future generazioni.
Ma sembrava di non essere in Italia: durante la tre giorni, gli italiani presenti nelle aule contavano meno del 20% delle presenze. C’erano imprenditori sociali da tutto il mondo (Brasile, Australia, Nord Europa, Asia, Canada…) accompagnate da numerose delegazioni governative dalla Scozia, Cina, Hong Kong, Ghana, Pakistan, Russia, Taiwan. In particolare da Taipei sono arrivati circa 80 imprenditori sociali taiwanesi e 20 membri del Governo per portare le loro esperienze di business sociale e discutere di un modello di sviluppo alternativo al capitalismo finanziario di questi anni. Ma soprattutto sembrava di non essere in Italia perché nel dibattito dei tre giorni il Governo Italiano è stato istituzionalmente assente. Se escludiamo Giampaolo Cantini, il Direttore Generale per la Cooperazione allo Sviluppo e il sottosegretario al welfare Luigi Bobba (forse l’ultimo a credere ai temi dell’economia sociale all’interno del Governo), nessuno dei Ministri invitati si è presentato alla manifestazione.
Non credo che sia un tema di distrazione, di agende o disinteresse. Ritengo semplicemente che il nostro Governo non creda nell’economia sociale come modello di sviluppo. Forse pensa che il nostro terzo settore sia “già diventato il primo settore” e che non ci sia nulla di importante da cambiare, nulla da mettere in discussione, ed è cosa assai strana visto che siamo nel bel mezzo di un processo di Riforma che pur andando a rilento era partito da buone premesse. Forse si preferisce tirare i remi in barca accontentandosi delle cose già conosciute, da una parte le organizzazioni non profit e le cooperative sociali (oltre 12.000) ad occuparsi di servizi alla persona e dall’altra la finanza ad occuparsi di economia, come se fossero facce della stessa medaglia. Quindi, ben vengano i cooperatori sociali ad intervenire nei micro-welfare dei territori, ma attenzione: sulle partite importanti a livello nazionale, largo alle privatizzazioni.
In realtà ci sarebbe ancora tanto da fare non tanto per migliorare il terzo settore, ma per costruire una nuova economia più attenta alle persone e meno ai mercati, soprattutto sulla gestione dei cosiddetti “beni comuni”.
Venerdì 3 Muhammad Yunus, premio Nobel per la Pace nel 2006, ha viaggiato in treno da Milano a Napoli con 44 ragazzi (per fortuna 30 erano italiani), proponendo loro un modello valoriale diverso da quello che studiano nei banchi delle Università o che gli viene proposto dal pensiero dominante. Chi ha visto quei ragazzi scendere dal treno ha letto nei loro occhi una volontà di cambiamento che i nostri governanti italiani (ed europei), nonostante la loro giovane età, sembrano aver perso.
Poi però, non si meraviglino troppo dell’esito del referendum greco.
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