Welfare

L’assessore ha una poltrona strana

Storia di Luigi Carrara, fondatore dell'Associazione paraplegici, lui stesso in carrozzina, attualmente titolare dei servizi sociali in un centro del Milanese.

di Redazione

Guai a dargli del politico di professione. Eppure del politico ha la stoffa e il carisma. Ha l’intraprendenza. E poi un’altra, fondamentale caratteristica: è praticamente impossibile fargli abbandonare la poltrona. O carrozzella che dir si voglia. Quella che occupa dal 1 gennaio 1965, quando un incidente di sci l’ha cambiato dalla vita in giù. E gli ha cambiato la vita. Di strada le ruote della sua carrozzella ne hanno fatta davvero tanta. Percorrendo in lungo e in largo il cosiddetto “sociale”, innanzitutto. «Quando ci si trova paralizzati a letto a 36 anni, con una moglie e tre bambini, che fare? Basta chiudere gli occhi per non aprirli mai più. Oppure si deve trovare la forza e l’orgoglio di prendere le redini di quest’uomo nuovo che ero diventato, e vivere sul serio, non sopravvivere». Basta il tono di voce con cui Carrara si racconta per capire che la sua scelta è stata la seconda. «Per colpa», non smette di sottolineare, «proprio di mia moglie. Senza di lei, e non lo dico per dovere, sarebbe andato tutto a ramengo. Mi ha fatto comprendere che piangersi addosso è solo controproducente. La vera questione era: come continuare a fare le stesse cose di prima, ma in modo diverso? Come continuare a lavorare, ma anche ad andare in montagna, a prendere il treno, ad andare a far la spesa?». Più che da grandi considerazioni ideali, il suo impegno nasce qui. «Quello che ripeto sempre è che io, rispetto a quelli che devono premettere all’impegno la comprensione del problema, ho la fortuna di avere un promemoria formidabile: la mia carrozzina». Ma, di suo, Carrara ci mette anche lo spirito di non chiudere gli occhi di fronte ai problemi. «Non sono mai stato capace di estraniarmi; se vengo a conoscenza di situazioni di difficoltà, non riesco a restarne fuori. E la paraplegia mi ha buttato in mezzo a un mare di bisogni». Un mare in cui, da quasi 40 anni, rema a favore ma soprattutto controvento. Contro la voglia di lasciarsi andare di tanti compagni di sventura, contro l’indifferenza di chi non capiva che l’ospedale non poteva che essere un momento di passaggio, che la carrozzina non era il mezzo più rapido per finire fuori dal mondo. Carrara nel mondo si è invece tuffato. E, in parte, l’ha anche cambiato. Comincia a visitare, e siamo nel ’66, i reparti dove sono ricoverati i paraplegici, denuncia le situazioni critiche, parla con direttori sanitari, primari e assessori. «Interviste, casini, articoli sui giornali e finalmente si muoveva qualcosa», ricorda. «Ma una voce, o tante voci singole, non trovavano molto ascolto». Nasce così, nel 1980, l’Associazione paraplegici che si fa sentire con il suo trimestrale, Ruota Libera. «Una delle prime cose che ho voluto mettere in piedi. Allora il paraplegico era quasi un alieno: era fondamentale farsi sentire, far conoscere la nostra realtà». Ma, per cambiare davvero qualcosa, diventa da subito inevitabile il confronto, spesso lo scontro, con i politici. «Erano come un muro di gomma: riconoscevano la bontà delle nostre richieste, ma non avevano le possibilità o la forza di darci subito una risposta. C’era sempre qualcosa che bloccava il cammino». Una cosa gli è chiara da subito: la politica non è il male. è solo molto, a volte troppo lenta. L’alternativa è chiara: o si critica, o ci si sporca le mani. «Riflettendoci, mi sono reso conto che non bastava più suggerire quali bottoni schiacciare, ma era necessario entrare in quella stanza, e darsi da fare». Parafrasando, per Carrara la politica logora quando non raggiunge dei risultati. è così che, su invito dell’allora sindaco di Milano Marco Formentini, nel ’93 entra nel Cda dell’Atm, dove arriva fino alla carica di vicepresidente. E i risultati presto si vedono. Compaiono i primi autobus a pianali ribassati con apposito «alloggio» per carrozzine («era già uno standard europeo: bastava prendere coscienza del problema e darsi una regolata», minimizza, sbrigativo), alle stazioni della metro pensate finalmente a misura di disabile, con ascensori accessibili e funzionanti. Anche sul fronte dell’Associazione, intanto, le conquiste sono notevoli. Negli ospedali si comincia a parlare di unità spinali, reparti di cura appositi, con un dimensionamento razionale. «Pensare che bastava fare un semplice calcolo, basandosi su dati validi a livello europeo. Ogni anno, su un milione di abitanti, 20 diventano paraplegici. In Lombardia, dunque, bisogna già sapere che ogni anno ci sono almeno 180 nuovi paraplegici da sistemare». Lapalissiano? Per gli assessori alla sanità o per i ministri mica tanto, dannata politica. Serve sempre la testardaggine di Carrara e della sua Associazione per riconoscere ai paraplegici il diritto ad avere una carrozzina nuova almeno ogni cinque anni, così come avere dalla Asl tutto il necessaire sanitario. Fino agli anni ’70, poi, era riconosciuta un’indennità solo ai disabili “sul lavoro”, «mentre siamo riusciti a ottenere un riconoscimento economico anche a chi si era conquistato la sedia a rotelle al di fuori del lavoro». Tanto gli potrebbe bastare per salutare l’impegno pubblico e ritirarsi tra i ringraziamenti e una standing ovation generale, ma la sorpresa deve ancora venire. «A dicembre ’99 mi dimetto dalla presidenza dell’Associazione. Servono forze fresche, idee giovani, continuo a ripetere». Ma, forse, già mentre lo diceva non riusciva a crederci nemmeno lui. Difatti. L’addio all’associazionismo diventa lo stimolo per tentare una nuova avventura. Quella di scavalcare la barriera architettonica per eccellenza, il passaggio dal “sociale” al “politico”, dal ruolo faticoso ma comodo di chi chiede a quello altrettanto faticoso, e per di più scomodo, di dover dare delle risposte. «Fare il politico? Io faccio l’assessore», chiarisce, «e per me vuol dire arrivare prima alla soluzione dei problemi. Se questo vuol dire fare politica, facciamola». Cioè? «Fare proposte ragionevoli, facendo passare il concetto che ogni progetto pensato a misura di disabile è un progetto che va a migliorare la vita di tutti. Difficile che qualcuno, dalla maggioranza o dalla minoranza, quando dico che di certe cose c’è urgenza, mi dica “non è vero”. Anche perché altrimenti gli rispondo, come mi è già successo “allora prima metti il culo sulla carrozzina e poi vieni a dirmi se è vero o no”». Non sono parole da politico di carriera, e non sono strategie da “tecnico” (“se proprio, un elettrotecnico”, scherza, accennando alla professione che non ha mai abbandonato). Cosa diavolo ci fa allora Carrara tra gli ingranaggi del potere? «Quello che ho sempre fatto. Cerco di fare cose di buon senso». Le risse tra i due poli non fanno per lui. Nemmeno se lo si punzecchia un po’. «La differenza tra centro destra e centro sinistra? L’unica differenza è che prima ero fuori, e adesso sono dentro. E speriamo che, con questo, le cose possano andare diversamente». La mette molto sul personale e forse non ha tutti i torti. «Non è vero che la solidarietà, o lo spirito cristiano o sa il diavolo che cosa stanno tutti da una parte o tutti dall’altra. è la sensibilità della persona che fa la differenza». Qualsiasi poltrona, o carrozzella, si occupi. Identikit: Il suo partito si chiama concretezza Bergamasco, 72 anni, sposato con tre figli e un piccolo esercito di dieci nipoti, Luigi Carrara è una figura storica della solidarietà lombarda. Ha fondato l’Associazione paraplegici della Lombardia, di cui è stato presidente sino al 1999. Nel 1993 è diventato vicepresidente dell’Azienda trasporti milanese. Da pochi mesi è assessore ai Servizi sociali a Novate, un grosso comune a pochi chilometri da Milano. Primi risultati: una casa di accoglienza per disabili gravi e il progetto di un centro polifunzionale, con piscina e palestre attrezzate per terapie di recupero e la riabilitazione.


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