Welfare
L’assegno d’inclusione non include chi è più fragile
Si è svolta martedì pomeriggio in Commissione Affari sociali al Senato l'audizione dell'Alleanza contro la povertà in Italia sul “decreto lavoro”. «La sostituzione del reddito di cittadinanza con l’assegno all’inclusione, una misura categoriale rivolta esclusivamente alle famiglie con minori, anziani o disabili, costituisce una preoccupante novità rispetto al criterio di universalità selettiva che aveva caratterizzato le due precedenti misure», scrive l'Alleanza. «Si rischia di ricreare un forte elemento di debolezza nel nostro sistema di welfare»
di Redazione
Si è svolta martedì pomeriggio in commissione affari sociali al senato l'audizione dell'Alleanza contro la povertà in Italia sul “decreto lavoro” (decreto-legge 4 maggio 2023, n. 48), che contiene indicazioni per il superamento dell'attuale Reddito di Cittadinanza. Due le misure previste, rivolte a diverse categorie di beneficiari: da un lato l'Assegno d'inclusione (Adi) per i “non occupabili”, dall'altro il Supporto per la formazione e il lavoro (Sfl) per gli occupabili. E proprio qui risiede la prima, fondamentale criticità, secondo l'Alleanza contro la povertà, nata nel 2013 e composta da 35 organizzazioni da sempre impegnate nella lotta alla povertà.
Dall’universalismo alle categorie
«La sostituzione del Reddito di Cittadinanza con l’Assegno all’Inclusione, una misura categoriale rivolta esclusivamente alle famiglie con minori, anziani o disabili, e il Supporto per la formazione e il lavoro, per le altre famiglie, costituisce una profonda e preoccupante novità rispetto al criterio di universalità selettiva che aveva caratterizzato le due precedenti misure nazionali di contrasto alla povertà, prima il Rei e poi l’RdC – scrive l'Alleanza nel documento consegnato al Senato – Si rischia di ricreare un forte elemento di debolezza nel nostro sistema di welfare. Viene infatti abbandonato il principio del reddito minimo (oggi vigente nella maggior parte dei paesi europei), il quale prevede che qualsiasi nucleo familiare che si trovi in condizione di povertà debba ricevere un sostegno minimo al reddito. La conseguente riduzione della platea degli aventi diritto che ne risulterebbe è infatti rilevante: si potrebbe determinare, secondo le prime stime, addirittura un sostanziale dimezzamento degli aventi diritto».
Discutibili anche i criteri di tale suddivisione in categorie, che “non si basa sulle effettive capacità di collocarsi sul mercato del lavoro, ma esclusivamente sull'età anagrafica (bambini sotto i 3 anni, minorenni, over 60) e particolari condizioni di fragilità all’interno del suo nucleo familiare (disabilità)”. In altre parole, c'è il concreto rischio che restino senza supporto diverse fragilità sociali (come le dipendenze, le patologie psichiatriche o altre condizioni di svantaggio cui deve essere data risposta con un’adeguata presa in carico.
Per quanto riguarda la scala d'equivalenza, essa è, come riporta la nota «peggiorativa rispetto a quella già inadeguata del Reddito di Cittadinanza, giacché scompaiono da essa tutti i componenti del nucleo maggiorenni fino a 59 anni non disabili e senza carichi di cura (siano essi figli o genitori). Non si tratta dunque di un’effettiva scala di equivalenza, che dovrebbe tenere conto, con possibili pesi diversi, di tutti i componenti del nucleo familiare, quanto piuttosto di un coefficiente moltiplicativo legato alla numerosità e alle fragilità presenti nel nucleo. Oltre a determinare una riduzione della platea degli aventi diritto, la nuova scala di equivalenza genera sperequazioni nelle famiglie con figli, a seconda che essi abbiano età inferiore o superiore a tre anni (nel coefficiente attribuito al secondo adulto) o siano maggiorenni. Solo le famiglie con disabili dovrebbero ricevere vantaggi dalla medesima, giacché s’introduce una specifica maggiorazione. Se poi da un lato scende il 10 a 5 anni il vincolo della residenza (che però l'Alleanza aveva chiesto di ridurre a 2 anni), “non riteniamo giusta per contro la restrizione dei periodi di durata del rinnovo della prestazione dai 18 mesi previsti per l’RdC ai 12 mesi, poiché determina una riduzione del beneficio crescente negli anni per quelle famiglie che rinnoveranno più volte la prestazione, dato il mantenimento dell’interruzione di un mese nell’erogazione della prestazione durante il rinnovo».
Queste solo alcune delle problematiche riscontrate nell’Adi, cui se ne aggiungono altre, segnalate dall’Alleanza, come la mancata indicizzazione e l'esclusione dei Caf dalle procedure di presentazione.
Il Supporto per la formazione e il lavoro
«Passando poi ad esaminare il secondo strumento previsto dal decreto», si legge «ovvero il Supporto per la formazione e il lavoro, permangono alcune perplessità rispetto all’attuazione del pur condivisibile percorso di attivazione, poiché l’infrastrutturazione dei Cpi e di tutto il sistema lavoro appare ancora fragile. Inoltre, per quanto il decreto voglia “apprezzabilmente combattere l’esclusione sociale e favorire l’inserimento al lavoro attraverso tutte le forme 'attive' concepibili, ci pare improprio includere tra esse il Servizio Civile, la cui natura è ben altra».
Infine, risulta problematica la nuova definizione di lavoro congruo, «risulta problematico che un lavoratore, in qualsiasi condizione si trovi, debba essere condizionato ad accettare una proposta di lavoro (seppur a tempo indeterminato) a centinaia di chilometri dal luogo di residenza, prescindendo dalle necessarie garanzie di sopravvivenza, o a decine di chilometri per un’occupazione di breve durata».
La versione integrale del documento è disponibile sul sito dell’Alleanza la quale, “attraverso i suoi organi e con tutte le organizzazioni aderenti – dichiara il portavoce Antonio Russo – seguirà con attenzione i lavori parlamentari, per fare in modo che nessuna fragilità resti esclusa da questo strumento fondamentale di contrasto alla povertà”.
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