Non profit

Lasciti testamentari? Mancano i dati, ma è il futuro

«Un mercato che in Italia non è tracciato da nessuno. Ma guardando agli oltre 200 testamenti che negli ultimi tre anni ho avuto la possibilità di leggere è comunque possibile individuare qualche altra pista di lavoro». L'intervento del presidente dell'Associazione Festival del Fundraising, Stefano Malfatti

di Stefano Malfatti

Quando si tocca il tema del dono nel testamento (una definizione più calda rispetto a quella classica del “lascito testamentario”), inevitabilmente si toccano le corde più intime di ognuno: del donatore, perché ha fatto un passo verso la nostra organizzazione, immaginando una sorta di suo investimento vero e proprio per il nostro futuro; dei responsabili dell’organizzazione, che intravede uno slancio per le attività e le prospettive di sviluppo dell’organizzazione stessa; del fundraiser, che vede finalmente realizzato l’assunto che la raccolta fondi non poggia sul denaro, ma sulla relazione.

Questi elementi non bastano a scardinare pregiudizi, scaramanzie, barriere familiari e mancanza di consapevolezze che relegano il mercato italiano dei lasciti testamentari a posti ancora subalterni. D’altronde se dovessimo aggrapparci — come spesso accade — ai numeri, anche qui avremmo difficoltà, dato che il mercato italiano dei lasciti non è tracciato da nessuno.

A nulla vale una modesta (per campione) prospettiva che Gfk traccia annualmente su stimolo del Comitato Testamento Solidale, l’organizzazione che da oltre cinque anni prova a spingere la cultura vera e propria del testamento. Ancora oggi poi ci riempiamo la bocca delle straordinarie prospettive che fondazione Cariplo ha tracciato con il suo quaderno dedicato ai patrimoni senza eredi: ottimo lavoro, ma non verificato o integrato, anno dopo anno, con il supporto di dati certi alla mano.

E allora? Ecco, se dovessi provare a tracciare la prospettiva del mercato partirei da qui. Raccoglierei i dati certi, quantitativi e qualitativi, rispetto ai tanti legati e alle tante eredità che comunque già approdano alle organizzazioni non profit. Richiamerei i tanti colleghi che già si cimentano con consapevolezza e professionalità sui testamenti, per provare a far convergere le loro indicazioni, le più precise possibili, costruendo un vero e proprio strumento di lavoro, utile a tutti, dato che c’è molto da lavorare su quasi il 90% degli italiani che il testamento non lo fa e spesso non ne sa nulla.

Vediamo però di individuare qualche altra pista di lavoro, guardando agli oltre 200 testamenti che negli ultimi tre anni ho avuto la possibilità di leggere, alle tante piccole e medie organizzazioni che si sono mosse nel preparare una loro campagna e al mercato internazionale che qualche numero invece ce l’ha.

  • Più grande non significa migliore
    Le organizzazioni più piccole e più giovani vedono la crescita più rapida in tema di lasciti. Costruiscono comunicazione più rapida ed e cace, ribattono e moltiplicano il messaggio, puntano al rapporto one to one e ricevono riscontri più immediati perché più identificabili e limitrofi.
  • Cause emergenti
    Sostenibilità ambientale, tutela degli animali ed educazione iniziano a scalare le classi che a scapito delle notorie cause relative alle malattie terminali e al semplice lascito “spirituale”, dettato dalla propria fede religiosa. Anche questo attiene al valore di ciò che lasceremo dopo di noi e all’attenzione per chi e per quello che ci sopravviverà.
  • L’avatar da testamento
    Le caratteristiche dei testatori già transitati presso la nostra organizzazione sono un elemento fondamentale per costruire le cosiddette “personas” ideali alle quali rivolgersi per stimolare loro una riflessione verso il lascito e sono elementi fondamentali per pro lare al meglio il nostro database per individuare i cosiddetti “prospects”, ovvero i potenziali testatori di domani.
  • Modalità di racconto
    Se è vero, come è vero, che qui i rapporti si stringono, è fondamentale mantenere un tono confidenziale e il racconto costante di storie. Storie della nostra organizzazione, storie di prospettive, storie di sogni e storie rassicuranti che possano intercettare quello slancio che ha portato il donatore davanti a noi. E questa modalità di racconto andrà sempre più alimentata e diluita in una molteplicità di canali, quasi a circondare e ad accogliere meglio l’interlocuzione con il nostro donatore.
  • La famiglia nuclearizzata
    È ormai assodato che la famiglia è andata riducendosi tanto nelle dimensioni quanto nella sua estensione, tanto che si è soliti parlare di un «processo di nuclearizzazione», ovvero della diminuzione progressiva delle famiglie estese in contemporanea alla costituzione di nuclei familiari autonomi. Sono così aumentate le famiglie monogenitoriali. Contemporaneamente, pur con le dovute differenze territoriali, aumentano le coppie di fatto, le coppie non coniugate, le convivenze more uxorio e le unioni libere che sembrano esporre eventuali patrimoni a gestioni successorie aleatorie. Di fatto è il testamento l’atto giusto con il quale attuare scelte precise (tra le quali assecondare le attività delle onp). Considerato che il nostro diritto poggia sui principi del diritto romano che a sua volta privilegia il diritto di famiglia, diventa particolarmente rilevante curare tutti i temi relativi alla gestione di questi rapporti. Quando giro l’Italia a parlare di testamenti e a provare a insegnare come attrarli, non dimentico mai di ricordare che attualmente non esistono strumenti, eventi o tecniche di raccolta fondi così stretti ai rapporti con le persone e con i loro valori, sentimenti, a etti e legami in genere quanto il lavoro con chi ci ha scelti nel suo testamento. Nulla può sostituire un programma legacy e cace e sostenibile per una organizzazione. Non esiste programma con un ritorno sull’investimento (Roi) migliore. Che fare allora? Attrezzarsi con i giusti elementi per parlare e maneggiare con dimestichezza un tema come quello del testamento. Preparare se stessi e la propria organizzazione ad affrontare un dialogo anche serrato con chi arriverà da noi, domandandoci qualcosa su questo strumento. Dobbiamo fare soprattutto cultura: diffondere, organizzare eventi sul tema, diffondere l’idea che il testamento non intercetta la morte ma la vita, soprattutto nella sua dinamica prospettica e concreta di generare valore anche quando non ci saremo più.

*Stefano Malfatti, presidente Associazione Festival del Fundraising

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