Prendo in prestito il titolo del blog dalla bella puntata di Presa Diretta andata in onda la scorsa settimana. Un’inchiesta che ha raccontato la condizione in cui versano milioni di famiglie con persone disabili e non autosufficienti in Italia. Un grido di aiuto misto a rassegnazione, tanto disarmante quanto reale. Vedere l’inchiesta ha riportato in superficie un pensiero che covavo da tempo ed è stata occasione per riflettere sugli ultimi 9 mesi di attività in giro per l’Italia a costruire il progetto Jointly Fragibilità, forse il più complesso e ambizioso in cui mi sono avventurata fino ad ora.
Abbiamo passato giorni a parlare di caregiver e non autosufficienza con i “tecnici della materia”, abbiamo incontrato centinaia di operatori del privato sociale, associazioni, e responsabili delle risorse umane delle aziende. Ci siamo confrontati su tariffe, contratti, livelli di assistenza e approcci. Abbiamo fatto delle scelte, alcune delle quali non saranno perfette, ma intanto le abbiamo fatte, perché pensavo che non ci fosse più tempo di aspettare, di pensare e di studiare modelli astratti.
Spesso ho avuto l’impressione che ci fossimo aggrovigliati nei nostri pensieri, nei modelli e nelle trattative perdendo di vista il motivo vero per cui eravamo li: l’urgenza di trovare delle risposte, degli aiuti, dei riferimenti per queste famiglie. In questi mesi ho avuto l’impressione di sentir svanire il senso d’urgenza, ho visto rinviare continuamente decisioni, prendere tempo, sospendere scelte in attesa che tutto fosse chiaro, sicuro. Ho trovato molti tecnicismi, poca spinta alla soluzione.
Nel frattempo loro sono Lasciati Soli. Dove è finito il senso di urgenza?
L’ho ritrovato quando sono entrata nelle aziende a confrontarmi con una platea di persone che sono passate o che stanno attraversando una condizione di fragilità in famiglia. L’ho ritrovato negli sguardi di intesa delle persone: c’erano comprensione senso di gratitudine, non diffidenza e paura. Ho sentito dipendenti ringraziare la propri azienda (e non capita spesso). Li ho sentiti dire grazie, almeno voi state provando a darci una mano. Quando sei costretto a vestire i panni del “Supereroe” e caricarti sulle spalle un macigno per il quale non eri stato preparato, è importante sapere che c’è qualcuno su cui contare.
“All’estero li chiamano caregiver, da noi sono Cittadini invisibili”.
C’è urgenza di risposte, c’è bisogno di nuovi punti di riferimento. Quelli tradizionali non bastano più. Che ci piaccia o no la realtà è questa. Di chi è il compito di trovare nuove soluzioni? Come cambia il ruolo del welfare pubblico? E' un dibattito che non mi compete. So solo che non abbiamo 20 anni di tempo per dare delle risposte a chi ti chiede aiuto. Non c’è più tempo per dibattere. Eppure siamo così concentrati sui noi stessi, sulla rincorsa del nostro quotidiano, per cercare approcci e soluzioni diversi.
Nelle startup si chiama MVP=minimum viable product. Laddove il problema è complesso si costruisce prima la soluzione minima per essere testata sul mercato, la si prova e se non funziona la si smonta, rimonta. E poi la si migliora. Loro devono sapere che stiamo lavorando per loro. Che qualcuno almeno ci sta provando.
Francesca Rizzi
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