Welfare

Lasciateci almeno la libertà di studiare

Dentrofuori a cura di Ornella Favero.

di Ornella Favero

Investire sulla cultura in carcere vuol dire davvero investire sulla sicurezza. Perché una persona, che ha la possibilità di crescere, di capire, di acquisire degli strumenti per sostenere le sue idee e confrontarsi con gli altri, è anche una persona che è in grado di non restare ancorata al suo reato e di cambiare la sua vita, come racconta Elton Kalica, un detenuto albanese da dieci anni in carcere: «Sin da quando ho deciso di impegnare il mio tempo nello studio, mi sono accorto che spesso basta anche solo la vista di un detenuto con i libri in mano per provocare in qualcuno fastidio e disapprovazione. Ci sono persone che sostengono che la galera debba essere soltanto un luogo di sofferenza, e che lo studio è un lusso da non concedere a chi ha commesso reati. Io credo che se c?è qualcosa che in carcere offre degli strumenti che aiutano i condannati a uscire dalla mentalità dell?illegalità e fa capire loro che si può vivere bene anche facendo dell?altro, questa è soltanto la scuola. E poi, una persona con un libro in mano è comunque meno pericolosa di una che non sa cosa fare del suo tempo»
Qui Emilia Romagna
In un momento in cui la situazione delle carceri è tornata a essere quasi come prima dell?indulto, e quindi il problema della tutela della dignità dei detenuti assume un ruolo fondamentale, anche la Regione Emilia Romagna, dopo il Lazio e la Sicilia, ha istituito il Garante regionale delle persone private della libertà personale, una figura in grado di verificare il rispetto dei diritti all?interno delle strutture penitenziarie, ma anche di rafforzare il legame fra il carcere e il suo territorio. Se si pensa che i detenuti in Emilia Romagna sono già 3.613, a fronte di una capienza regolamentare di 2.263, viene da dire che la Regione sta dandosi in fretta degli strumenti per far fronte a una situazione che si prospetta di nuovo esplosiva. E non solo per i disagi del sovraffollamento, ma soprattutto perché è impossibile garantire a una persona detenuta un percorso di reale reinserimento, se non si è in grado di seguirla in questo percorso e di smetterla di pensare che la perdita della libertà equivalga alla perdita di ogni altro diritto.

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